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Silence

Regia di Martin Scorsese vedi scheda film

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La recensione su Silence

di Utente rimosso (Cantagallo)
6 stelle

Ma sì, per un volta proviamo ad andare dritto al punto mettendo in conto il probabile scontro frontale: "Silence", l'ultima fatica del grande maestro Martin Scorsese, è un capolavoro? E' il film che potevamo attenderci sapendo che sono ben 30 anni che un regista di tale calibro medita di realizzarlo? E' superiore, o almeno gravita nell'ordine di grandezza di un "Mission", tanto per citare una possibile pietra di paragone? E' un lavoro memorabile, dirompente, concettualmente rilevante? Ci porta oltre rispetto a dove ci ha già condotto "Cuore di tenebra"? Diciamolo apertamente, il vero punto sta nel capire se parliamo di eccellente esecuzione o di grande film, e questo senza nulla togliere al fatto che Scorsese è e rimane un mostro sacro e che il dispiegamento di forze e il comparto tecnico del film siano quanto di meglio le più prestigiose produzioni possono mettere oggi a disposizione. E' però a un livello molto alto che il film gioca la sua partita e onestamente io non mi sentirei di gridare al miracolo, nonostante l'ipertrofico innesto del discorso sulla fede, che per quanto rimarcato e ripreso costantemente rimane nel perimetro di quanto già universalmente noto e cioè che quando manca la libertà di culto, figlia della più generale libertà di pensiero, per chi professa religioni non ammesse può mettersi molto male. Ripensando al film può venire spontaneo provare a scindere l'aspetto di pura narrazione filmica dalle possibili riflessioni sulla religione poichè è mia impressione che si tratti di due piani che si intersecano ma che rimangono sostanzialmente distinti non compenetrandosi a fondo.


Dal punto di vista dello sviluppo e degli elementi in gioco siamo, a mio modesto e cestinabile parere, dalle parti di un soddisfacente film di avventura che procede - per stazioni già ampissimamente battute - in modo ciclico, quando non espressamente ripetitivo, fino a raggiungere intenzionalmente una lunghezza considerevole. Dei passaggi obbligati di genere nessuno manca all'appello: innocenti e persecutori, pericolo scampato, pericolo non scampato, divisione dei percorsi e conseguente indebolimento del gruppo, il personaggio ambiguo che sicuramente procurerà guai (nello specifico l'inaffidabile Kichijiro che, per un eccesso di caratterizzazione, finisce per diventare involontariamente la mascotte del film), le scene cristologiche di traduzione del prigioniero, quelle a grande presa delle torture praticate dai persecutori, il tutto girato in modo impeccabile, curatissimo, collaudato, atteso. Poche reali sorprese, diversi deja vu, una conduzione molto attenta a tenere lo spettatore stretto per la mano. Non per tirare l'acqua al mio mulino ma in sala il pubblico mi è apparso attento ma non particolarmente teso, neanche nelle scene più drammatiche e feroci. Ci sono anche tantissime parole in "Silence": dialoghi numerosi e articolati nonostante le diverse lingue in gioco e in più la voce narrante che legge epistole, racconta, illustra, spiega. Molti dialoghi sono esplicativi e puramente funzionali alla comprensione della scena mentre altri, più ambiziosi, mirano alla questione della fede su cui torneremo, l'effetto è quello di una verbosità abbastanza ingombrante, che diluisce la sostanza del discorso anzichè addensarla, dilatando tempi del racconto e modi di trasmissione del messaggio. La rappresentazione dei giapponesi è oggettivamente un passo indietro rispetto alla sensibilità recentemente maturata nei confronti delle culture e dei popoli non occidentali: nel film rimangono figure di contorno sempre ritratte in gruppo, non indagate individualmente, mancando un reale interesse a comprendere il loro punto di vista e le loro motivazioni, giuste o sbagliate che possano essere. Andrew Garfield, sovraesposto nella parte del protagonista, ha fornito una prova abbastanza adeguata, anche se ho l'impressione che debba ancora maturare prima di poter essere considerato insostituibile, è invece un peccato non aver sfruttato maggiormente la fisionomia cubista di Adam Driver, personalità attoriale indubbiamente più incisiva. E il buon Liam Neeson? Il motore e la gran parte del film poggiano sulla ricerca del gesuita perduto da lui interpretato e quando, dopo varie vicende tirate un po' per le lunghe, il suddetto finalmente appare forse l'attesa è stata troppa e l'effetto è quello di una partecipazione straordinaria da guest star giunta sul set da chissà dove sul finire delle riprese.


La questione della professione della fede dovrebbe in realtà essere la ragione alla luce della quale un film di viaggio o di avventura assume una statura diversa e gli spunti di riflessione in realtà non mancano, anche se alla fine non è facile tirarne le somme. Dando per pacifico quanto si diceva all'inizio, e cioè che la libertà di culto come quella di pensiero è principio imprescindibile in una società che voglia dirsi rispettosa dei singoli individui, rimangono alcune domane aperte. Che cosa ha spinto il Giappone a tollerare dapprima e in seguito a proibire la religione cristiana? Quali aspetti del pensiero cristiano furono giudicati insidiosi per la società giapponese del seicento? Quali parole hanno invece fatto breccia in coloro che hanno abbracciato la dottrina della chiesa preferendola al buddismo? Sarebbe stato interessante comprenderlo ma il film non si addentra in questioni concettualmente o storicamente troppo impegnative, limitandosi a guidare dialoghi abbastanza astratti sul concetto di verità e a farne più che altro una questione di forza e coraggio nel sopportare le persecuzioni. Anche la questione dell'abiura, di fatto ottenuta attraverso il ricatto e la prevaricazione, perde parte del suo peso in termini di dramma morale se considerata come un modo, forse non onorevole ma umanamente comprensibile, di salvare la pelle, per di più se si tratta non della propria pelle ma di quella di altri innocenti. Del resto, tra le molte situazioni da cui si poteva partire per parlare di dubbio e incertezza in tema di fede la scelta è ricaduta su un contesto di particolare cruenza e intolleranza, ci si potrebbe chiedere se in situazioni meno drammatiche è comunque verosimile per un credente incontrare dei momenti di smarrimento e se in quei casi il dilemma è meno lacerante ma non per questo meno profondo. Molti spunti di riflessione, non nuovi ma sempre attuali, che sono presenti nonostante rimangano un po' dispersi lungo il film e puntino in direzioni diverse, possono proficuamente alimentare ulteriori discussioni: Dio sembra non intervenire nelle vicende di uomini che per la fede sono pronti a dare la vita, perchè questo segno di indifferenza? Ma Dio è tenuto a dare dimostrazione di se' oppure sta proprio in questa "fiducia" la differenza tra fede e constatazione? Il credo religioso risiede nel cuore umano come convinzione strettamente personale e privata e può dunque sopravvivere a prescindere da gesti, comportamenti, simbologie dettate dalla religione? E' opportuno fare proselitismo dove non è garantita la libertà di culto? In che misura è giusto convincere le persone a cambiare idea? Insomma ottime opportunità di dibattito extrafilmico.


In conclusione, nulla si intende togliere alla spettacolarità del film, una spettacolarità a cui però manca qualcosa per tradursi in vera magniloquenza, che non rinuncia a capitalizzare più e più volte gli stessi snodi, che pesca anche da un immaginario già ampiamente consolidato, immediatamente evocabile e agevolmente percorribile. Un film senza dubbio da vedere, che verosimilmente conquisterà senza riserve la schiacciante maggioranza degli spettatori, ma che secondo me non è esente da limiti.

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