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L'uomo che amava le donne

Regia di François Truffaut vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su L'uomo che amava le donne

di Lehava
6 stelle

E' angosciante, questo, "L'uomo che amava le donne": è angosciante per l'assenza totale di amore. Del calore naturale di un essere umano, del suo corpo di carne e di sangue, di umori e di sapori, della sua mente fatta di pensieri, del suo spirito fatto di emozioni e sensazioni. Niente: Truffaut racconta il vuoto. Che non ha sesso, non ha età, non ha ricordi né futuro. Un vuoto che si riempie di niente perchè niente sta dentro il protagonista, Bertrand, e niente sta fuori di lui, nelle sue molteplici relazioni che relazioni non sono. Non sono perchè non esiste contatto: non c'è passione o desiderio, non c'è ricerca o attesa, analisi e conoscenza. C'è solo il vuoto, che è la morte: la morte in vita e la morte nella morte, alla fine. L'unica fine possibile.

 

Spiazzante il titolo: "L'uomo che amava le donne": mi piace pensare che sia ironico (se non lo fosse sarebbe tragico per comicità grottesca). L'uomo in questione è Bertrand, un distinto ingegnere di mezza età, non particolarmente bello né intelligente o affascinante, che impegna tutto il tempo a sua disposizione (e forse anche quello che non ha: nulla viene mostrato della sua vita quotidiana, delle attività elementari per la sussistenza come mangiare o dormire, o per assurdo fare la spesa o pulire casa: il suo universo è teorico, direi maschile e teorico) per inseguire, ammirare, a volte "conquistare" donne. Non c'è in lui una virilità propompente. Né vanità o sensualità. Il suo approccio al mondo femminile è quasi "scientifico": come un ornitologo che osserva gli uccelli in volo, e che, di tanto in tanto, aspira ad accarezzarne qualcuno. Per la singolarità del piumaggio, forse la leggiadria delle zampette, o la modestia dei movimenti armoniosi della testa e delle ali. Di tutti afferrando gli accidenti, di tutti indifferente alla sostanza. La consapevolezza di un destino diviso è immediata. Poco sappiamo del passato di Bertrand, una madre assente (ed un padre, innominato, ancor di più) ma nessun dramma specifico: d'altronde non c'è introspezione, né profondità: egli non sa vivere che il presente contingente. La superficie. La sua malinconia, assoluta in quanto non ammessa, del tutto slegata dalla nostalgia, sta nella assenza di desiderio perchè "un desiderio di desideri: la malinconia." (Lev Tolstoj da "Anna Karenina").

 

Il tema è quanto mai drammatico: i toni restano comunque pur sempre leggeri. Evidentissimi nell'overture come nella conclusione (essendo un lungo e compatto flashback inizio e fine combaciano): un funerale atipico spesso inquadrato dal punto di vista della bara, da dove il morto gode dello splendido spettacolo delle gambe femminili accorse per l'ultimo saluto. Ma è in questa leggerezza che si annida l'irrisolto del film: la affermazione di Genevieve per cui Bertrand sta riscivendo i rapporti fra uomini e donne è quanto mai falsa e (con il senno di noi contemporanei: dopo il femminismo, ed il post-femminismo) antiquata. La cruda verità è che i rapporti fra esseri umani sono sempre quelli. Cambiano i parametri sociali, economici, i ruoli sessuali, le leggi, le possibilità e le occasioni. Non i pensieri, le aspirazioni e le aspettative, i desideri, le pulsioni. Universali e senza tempo. Truffaut, sicuramente per eccesso autobiografico, mette in scena una commedia tragica, o una tragedia comica, che resta in superficie proprio perchè scendere in profondità farebbe troppo male. L'assenza di volgarità (da alcuni critici lodata) è qui elevata ad assenza di vita. Di morte in vita, e di morte nella morte appunto. E l' "amore" per le donne, il "rispetto" che si sbandiera per esse, è solo appiglio scangherato per non affogare nelle sabbie mobili della incomprensione totale. Ammettere di non potere, peggio! di non volere capire è insostenibile, per Bertrand-alter ego di Truffaut. Egli dolce e mansueto, corretto ed educato, trova conforto in giovani impiegate di un rent-a-car, mature commesse, bionde incontrate in negozio o per strada. Graziose, disponibili, libere. Nello scorrere continuo del mondo, la natura più autentica e sconvolgente del femminino, eterno o no, è per il protagonista una chimera. Una bambola di plastica su un letto composto. Le sue donne sono tutte orgogliosamente ed ostentatamente sterili (siamo nel 1977, bene ricordarlo). Quasi asessuate. E' l'unico modo che il suo sguardo maschile ha di "amarle": un' "idea" (come d'altronde viene detto anche nel film) lontanissima dalla realtà, una teoria. La morte è pertanto anche sociale, collettiva. Non solo si sbeffeggia il matrimonio, ma, in una analisi legata a dictat morali e sociali oggi in fase avanzata di ri-discussione (solo all'interno del matrimonio si procrea. O meglio, è lecito procreare) si rifiuta il principio vitale che è l'essenza stessa della donna in quanto generatrice. Di questa "mascolinizzazione" progressiva, per altro modernissima (basti guardare ai parametri estetici attuali, oppure alla scarsa considerazione sociale del ruolo di mamma e casalinga, o ancora alle mille difficoltà delle donne lavoratrici) si fa portavoce Genevieve. In quella terra di nessuno che sta fra la riscrittura di modelli e ruoli e la realizzazione ed affermazione di sé.

 

Sostenuto da una accurata sceneggiatura ed interpreti perfetti, Truffaut dipinge con la solita sensibilità un quadro dove i volti dei personaggi sono carichi di dettagli ma manca la pennellata giusta per definire pienamente spazi ed ambienti che lascino comprendere appieno tempi, luoghi, finalità e forse anche messaggi. Si resta con un senso di "galleggiamento" e di "abbandono alla corrente". O forse, anche di eccesso di astrazione. Datata la fotografia. Ritmo diseguale nei dialoghi (quello fra Bertrand e Vera per esempio), sonoro un po' troppo anonimo. A mio avviso, non certo un capolavoro del Francois transalpino.

 

Postilla - un dubbio mi prende, e sempre più si fa certezza: non avere gli strumenti basilari per guardare questo film. Quindi, men che meno, per capirlo. Ahimè, un grande cruccio, veramente.

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