Regia di François Truffaut vedi scheda film
Sarebbe semplicistico ridurre la storia di Bertrand Morane ad un piatto parallelismo con le vicende personali del regista, abbandonato in tenera età dal vero padre, da sempre affascinato dalle donne (ed in particolare dalle loro gambe, come spesso ricorda anche il protagonista del film), avventuroso di carattere eppure scrupoloso professionista sul set come Bertrand fra le mura della sua azienda. No, la degenerazione mentale - una vera fissa maniacale - di Bertrand è molto più che autobiografia: è un omaggio esplicito alla parte femminile del mondo (e dell'uomo stesso: da notare quanto sia fondamentalmente timido, posato, a suo modo sentimentale il protagonista) e così pure un altro ritratto di una vera, umana follia. Come quella della Camera verde, si basa su qualcosa che in realtà non esiste (stesso discorso per La mia droga si chiama Julie), mostrando quanta lucidità possa esserci nel perseguire un fine impossibile e quanto estremamente 'normale' possa essere un 'maniaco' (non principalmente 'sessuale') come Bertrand. Il tono è più leggero dei due lavori appena citati e non mancano i momenti divertenti, soluzione inevitabile dopo l'angosciante Adele H. ed il quadro commosso dell'infanzia degli Anni in tasca. Rimane celebre, di questo film, la frase in cui Bertrand descrive le gambe delle donne come compassi che misurano il globo terrestre in ogni direzione.
Onesto e stimato ingegnere, Bertrand ha un solo vizio a cui non sa davvero resistere: le donne. Non una in particolare: tutte. Scrivendo le sue memorie ripercorre la lunga lista delle sue conquiste e si accorge che tutto ciò che ha fatto era solo per ottenere l'attenzione di una madre assente, distratta, mangiatrice di uomini. Un giorno Bertrand, inseguendo una ragazza, viene investito da un'auto e viene ricoverato in fin di vita. In ospedale, cercando di afferrare le gambe di una piacente infermiera, cade dal letto e muore. Rimangono di lui soltanto l'autobiografia ed una sfilata di 'vedove' al suo funerale.
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