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Vulcano

Regia di Jayro Bustamante vedi scheda film

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La recensione su Vulcano

di OGM
8 stelle

María Mercedes Croy

Vulcano (2015): María Mercedes Croy

 

Un film in lingua Maya. Un idioma di analfabeti, perché la sua scrittura, antica quanto la civiltà, è fatta di geroglifici. Maria la parla, ma non sa nemmeno apporre la propria firma. Non è andata a scuola, e non ha mai imparato lo spagnolo. È l’unica figlia di una coppia di anziani campesinos guatemaltechi. Sa cucinare, badare agli animali, coltivare il caffè, è giovane e forte, e dunque è certamente la moglie ideale per Ignacio, il proprietario delle piantagioni presso cui la sua famiglia abita e lavora. Andrà presto in sposa a quell’uomo ricco, che è appena rimasto vedovo, e per lui si cingerà il capo di una corona di stoffa colorata. Così ornata, con la pelle dorata e i grossi occhi sporgenti, la si direbbe una madonna di legno. L’icona di una magia antica, cotta dal fuoco della terra, da quel magmatico mistero che affonda le radici nel profondo della natura, che odora di carne bruciata, di micidiali veleni, di istinti selvatici. Il profumo è intenso, penetrante, fa persino paura, primitivo e violento com’è. È degno di un timore reverenziale, di un rispetto fremente,  come quello che tradizionalmente si tributa agli dei più potenti, nascosti dentro ai vulcani. A loro si innalzano preghiere rozze e polverose come lava nera, intrise di una fertilità distruttrice, che ha l’aspetto sinistro della morte.

 

María Mercedes Croy

Vulcano (2015): María Mercedes Croy

 

Sacro e macabro sono tutt’uno, nei luoghi in cui la superstizione regna da sempre sovrana, come un’atavica saggezza, una scienza che chiude gli occhi sulla realtà nell’estatica illusione di poter vedere oltre.  Il lungometraggio d’esordio di Jayro Bustamante è il ritratto, dipinto a tinte spesse, di un mondo in cui i fantasmi di un passato millenario aleggiano minacciosi, per quanto assonnati; la loro fiamma votiva è spenta da tempo, offuscata da altre chimere – il richiamo del benessere e dei modelli occidentali -  eppure continua ad illuminare fiocamente la tristezza degli ultimi, come brace dimenticata nel focolare da un popolo disperso. C’è chi è rimasto ad attizzarla, con la tenacia dei derelitti che, nonostante tutto, perseverano nell’amore per quel nulla, per quella povertà che, se non altro, è prodiga di emozioni semplici, di piccole cose da scoprire, di sfide quotidiane che ravvivano il senso dell’umana dignità. Si va avanti combattendo, sperando, rimanendo uniti. Si resiste al dolore dell’abbandono con la fede nei miracoli. Si crede alla salvezza, a quella goccia di onnipotenza che il cielo deve avere per forza versato sulla terra, sotto forma di lapilli incandescenti, come quello che accende nel ventre delle donne la scintilla della vita. Maria tiene duro, sostenuta da un’energia sotterranea, forse trascendente, che aggira la volgarità delle logiche mondane per ribadire la propria invincibile universalità. La bambina diventa madre, per perpetuare il mito di un’anima eternamente bambina, vergine perché inviolata nella sua purezza di creatura che non si vende: si dona, si lascia saccheggiare, senza mai chiedere nulla in cambio. Maria offre se stessa a chi la ama, o anche solo la vuole, sapendo che il bene non potrà, in nessun caso, essere sconfitto dalla necessità del male. Il cosmo è avvolto dal fumo, dalla nebbia, dal vapore che confondono lo sguardo, ma il suo spirito si mantiene solido, come la carne turgida che si staglia, netta, sullo sfondo indistinto. È un angelo e, insieme ai tanti demoni-serpenti, sopravvive agli incendi che devastano il suolo, che intossicano l’aria. Per raccontare la sua storia basta seguire i suoi passi muti, i quali, dopo ogni breve fuga, la riportano sempre a casa: movimenti circolari, come in una danza tribale, segretamente scanditi dai battiti del cuore.

 

Ixcanul, dopo essere stato finalista alla scorsa edizione del Festival di Berlino,  rappresenterà il Guatemala agli Academy Awards 2016. 

 

María Mercedes Croy

Vulcano (2015): María Mercedes Croy

 

 

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