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007: Spectre

Regia di Sam Mendes vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su 007: Spectre

di lussemburgo
8 stelle

Prosegue e termina, con il secondo film di Sam Mendes dedicato a James Bond, la serializzazione spinta della saga di 007 secondo modalità che hanno mutuato la pratica del reboot e della continuity dalla televisione. Già Skyfall portava a compimento la ridefinizione del personaggio, riallineandolo, con i dovuti aggiornamenti, ai canoni noti e ridefinendo i caratteri di contorno (M, Moneypenny, Q). Spectre introduce, chiarendone il perimetro, anche l’organizzazione sovranazionale omonima, non più soltanto spionistica bensì squisitamente economica (con un parallelo interessante con l’analoga “rogue nation” dell’ultimo Mission: Impossible) dedita al governo informale e ufficioso del mondo a puri fini egoistici e finanziari. Ma anche il ruolo di semplice spia di Bond viene riportato alla sua licenza di uccidere quale elegante sicario di stato. Ed è tutto il servizio segreto britannico in procinto di essere rivisto e ridimensionato, mentre, emblematicamente, la sua sede storica, il palazzo fortificato sul Tamigi, già danneggiato nel precedente episodio, sta per essere demolito e il suo personale demansionato. È il “mondo secondo Bond” che sta per morire di fronte all’imperante globalizzazione e diffusa sorveglianza per confluire in un ambiguo grande fratello in mondovisione, proprio quando lo stesso agente segreto, nel suo processo in divenire, è appena “rinato” secondo i parametri originali, ed è già vetusto. La questione identitaria diventa, pertanto, centrale e si affianca all’ingrediente familiare, inedito e peculiare del Bond di Craig, la cui filigrana percorre tutta la tetralogia. James Bond è, a tutti gli effetti, sia anagraficamente che metaforicamente, un orfano, un uomo senza famiglia e un agente ribelle che non sembra riconoscere alcuna autorità se non quella di M, madre putativa e protettiva, e che, in Skyfall, si trova in antagonismo con un fratellastro geloso, tanto che l’epilogo si svolge nell’avito maniero di famiglia, distrutto poi nell’assalto finale. Se il nuovo M è un coetaneo, sorta di altero cugino, l’altra linea narrativa, inaugurata sin da Casino Royale, sviluppa e giustifica la misoginia del personaggio con l’innamoramento, corrisposto ma tradito, per Vesper Lynd, le cui fila vengono riprese in Spectre dove tutti gli antagonisti si rivelano un’unica teoria di avversari mobilitati e mossi da una sola mano, quella del fantomatico orditore di una trama complessa e articolata, di una ragnatela di malignità, Ernst Stavro Blofeld, vero fratellastro di Bond, adottato dal padre e geloso del suo figlio prediletto. Così la stessa serializzazione spinta dei film trova una giustificazione narrativa e anche gli irrinunciabili capitoletti iniziali di ogni pellicola, in precedenza finali spettacolari di altre missioni, diventano la continuazione dell’episodio precedente, che così si dilata oltre i confini della propria durata per essere portato ad un temporaneo compimento, e rilancia l’azione della nuova avventura, introdotta - secondo tradizione - dalla sigla di titoli di testa animati (purtroppo Writing’s on The Wall è la più brutta e noiosa canzone di tutta la serie). L’intera nuova saga si rilegge ora come i quattro capitoli di una vendetta personale, dilatata negli anni, appaltata a svariate nemesi e inserita in un megalomane progetto di appropriazione finanziaria del mondo, con la riduzione ad una miseria psicanalitica dell’ambizione globalizzante dell’unico, effettivo e originale arci-nemico del personaggio. Anche la vera bondgirl di Spectre, a sottolineare il senso familiare diffuso, è la figlia di Mister White, perso di vista all’inizio di Quantum of Solace e abile emissario del mastermind di ogni tranello, pericolo e ostacolo a Bond, interpretato con narcisistico sadismo da Christoph Walz, decisamente avvezzo a ruoli del genere. Mendes sembra girare con svogliatezza, doop un’ambiziosa scena d’apertura in Messico, senza cercare la raffinatezza grafica e visiva di alcune sequenze di Skyfall ma assecondando la dinamicità dello script, gli inseguimenti nelle più svariate parti del mondo, con alcune conquiste femminili di contorno. L’aspetto seduttivo del Bond di Craig è del tutto secondario (e in filigrana nell’intera saga c’è una vena di omosessualità latente, esplicitata da Raoul Silva, fratellastro geloso del rapporto quasi esclusivo di Bond con “mamma” M) e l’episodio romano con la Bellucci, è quasi stucchevole nel gratuito pseudo-erotismo di un corteggiamento accelerato che si vorrebbe tango ma che è senza musica, in una svestizione quasi imposta ma a cui per la donna è difficile resistere. Sembra l’affermazione di una seduttività implicita, ma da cui emerge l’imposizione di un punto di dominazione maschile. Alla scena, dilatata e artificiosa, fa da contraltare la rapidità della corrispondente dimostrazione di affinità erotica sul treno con Léa Seydoux, risolta in pochissime inquadrature e giocata sull’ellisse, sintomo di una più profonda intesa e preludio al finale, quasi irrevocabile, che sembra essere il senso ultimo di tutta la quadrilogia. Sin dall’inizio, infatti, Bond nasce vecchio, frutto di una mentalità sorpassata dagli eventi e dalle circostanze, di una concezione del mondo antiquata (concetto espresso da M già all’inizio dell’era Brosnan in GoldenEye). Sebbene passi almeno 3 film a raggiungere e conquistarsi la maturità del personaggio canonico, il Bond di Craig è da subito destinato a non riconoscersi nelle istituzioni e nel suo ruolo, ad egire autonomamente e secondo esigenze egoistiche e vendicative (come i suoi stessi nemici, in un ambiguo riflesso caratteriale) tanto che Spectre è soltanto il necessario preludio alla pensione, al ritiro dalla vita attiva e la scelta, definitiva per il personaggio (tanto da meritarsi, nella classicità di 007, un intero film, interlocutorio e di passaggio, quanto conclusivo sui legami affettivi di Bond ed evocato in Casino Royale: Al servizio segreto di Sua Maestà), di un legame affettivo vincolante, duraturo e preminente. L’ipotesi era già stata espressa a Venezia in Casino Royale a Vesper, prima che gli eventi, architettati dallo stesso antagonista, portassero il personaggio a rimandare la decisione e a guardare con cinico sospetto l’altro sesso e considerare ogni affetto come un’ingombrante debolezza. Alla fine, però, James Bond abbandona il mondo avventuroso per amore, recuperando l’unico legame ancora esistente col passato, cinematografico e familiare, la classica Aston Martin DB5, distrutta alla fine di Skyfall e gentilmente riparata da Q, e su di essa, con a fianco la nuova compagna, si avvia verso nuovi e ignoti lidi, in attesa di ricomparire in altre vesti e con diverso volto in una nuova incarnazione.

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