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Meno scrupoli (I)

Regia di Michael Saba vedi scheda film

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La recensione su Meno scrupoli (I)

di OGM
6 stelle

A Michael Saba va riconosciuto il merito di aver creato una storia povera, ma intensa. Di aver perfettamente dipinto il ritratto di uno stato d’animo e di una condizione materiale con pochi, essenziali passaggi della macchina da presa. Francesca, una giovane madre costretta, per mantenere sé e la figlioletta Luce, ad accettare lavori degradanti, è la protagonista di un racconto fatto di sguardi, di primi piani, di silenzi e di invisibilità che parlano il linguaggio sussurrato e indiretto della sfumature, delle allusioni, delle evidenze trattenute dal pudore. Francesca vorrebbe smettere di battere la strada, però i soldi le servono. E sa già che i suoi tentativi di trovare occupazioni più decorose sono destinati a naufragare, visto che non ha un’istruzione superiore, e poi il mondo, oggigiorno, è quello che è. Eppure ci prova, con l’espressione dimessa che presagisce la sconfitta. La stessa con cui sta in piedi nel corridoio ad aspettare, davanti alla porta oltre la quale dovrà dimostrare, per l’ennesima volta, di essere all’altezza di un compito sgradito: chissà cosa le chiederanno di fare, durante il provino per quel film pornografico. Il volto di Francesca è una languida maschera di rassegnazione, di chi ha ormai capito che, nella sua situazione,  l’unico modo per combattere è ingoiare un rospo dopo l’altro, aspettando che un Avanti il prossimo! preannunci, finalmente, l’arrivo del suo turno. Questo cortometraggio è un’amara fetta di italianità contemporanea: un duro boccone strappato ad un tessuto sociale avaro di umanità, chiuso nel disprezzo altrui ed insensibile al disagio dei più deboli. Le uniche porte che si aprono, per Francesca, sono quelle che fanno entrare il suo corpo, per lasciare fuori l’anima, l’amore, la sua stessa vita. Di lei non sappiamo quasi nulla, eppure, vedendola, indoviniamo in un attimo il suo tutto, un tormento racchiuso nella determinazione a sopportare qualsiasi cosa, ma senza mai lasciarsi andare, senza mai abbandonarsi alla consolatoria illusione che, in fondo, sia giusto così. Questa è la forza, la carica di sofferta dignità che emana dal non detto, dal solo accennato: una ragazza, inquadrata solo di spalle, esce dalla stanza del casting in lacrime. L’obiettivo la segue mentre percorre i pochi metri che la separano dalle scale: davanti a noi, per pochi secondi, c’è soltanto una schiena scossa dai singhiozzi, coperta da una casacca bianca e da un cintura nera aderente ai fianchi pesanti. Basta quell’immagine a suggerire l’interrogativo che riassume l’angoscia di Francesca: Una di quelle che mi avevano preceduto era uscita  dopo un paio di minuti piangendo, non so se perché l’avessero cacciata, oppure perché le avessero fatto fare qualcosa di umiliante. Forse l’avevano presa in giro per via del fisico. Le frasi sono tratte dal racconto Menos escrúpulos dello scrittore spagnolo Javier Marías (incluso nella raccolta Cuando fui mortal), a cui il film dichiara di ispirarsi. In realtà, si tratta di uno dei pochi punti di contatto tra la fonte letteraria e la sua trasposizione cinematografica, che, una volta colto lo spunto, decide di proseguire per la propria strada, trasformando l’originale avventura underground di un’esordiente attrice a luci rosse in un dramma tipicamente nostrano, impastato di buoni sentimenti traditi e senso morale offeso. Del resto si sa, il cuore, dalle nostre parti, ama rubare la scena al sangue, alla carne, alla follia. Una tradizione che si può scegliere di onorare. Ma che forse, a fronte di un materiale di valore, sarebbe meglio cercare di superare, per proporre qualcosa di nuovo. 

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