Regia di Giorgos Lanthimos vedi scheda film
Un film esteticamente spietato nel senso di von Trier ma anche di Haneke, che fa riflettere sull’ottundimento silente e dilagante del sentimento, in assenza del quale l’esistenza si ritira e lascia l’esserci nella sua meccanica cura, esclusivamente votata alla sopravvivenza senza più un’Idea.
Si deve essere una coppia, pena il diventare animali di altra specie (prima parte), si deve essere dei single, pena l’essere soppressi (seconda parte). Due modelli sociali si affrontano, il primo è quello legittimo e istituzionalizzato, il secondo è quello minoritario e antagonista, ma entrambi retti da una logica totalitaria, che come una macchina non lascia libertà di scelta alle persone, le quali, proprio per questo, diventano esseri superficiali, inetti e cinici, ma soprattutto anonimi a loro stessi, che pensano solo al proprio tornaconto, perché oramai, quello che occorre, è soltanto sopravvivere a se stessi. Anche la leadership di entrambi i modelli ripete automaticamente il suo copione, senza in fondo sapere davvero per quale motivo essa sia a capo dell’una o dell’altra parte.
Forse è più facile fingere sentimenti che non si provano (prima parte) piuttosto che fingere di essere senza sentimenti che invece si provano (seconda parte), ma in entrambi i casi la finzione, la dannata finizione per sopravvivere, finisce per avere il sopravvento; e proprio nel momento in cui sembra esserci una scelta di libertà, anche se sta per accadere, non ha altra possibilità che quella di accecarsi: la tragedia di un Edipo che capitola non perché abbia le passioni secondo e contro il destino, ma perché gli si sono liquefatte e cerca mostruosamente di riaffermale per una loro non più differibile eutanasia senza più un destino contro cui orientarsi.
Si tratta di un film che con il pretesto della distopia vuole cogliere il clima strisciante del nostro tempo, che è sostanzialmente anaffettivo e anestetico, per cui meccanicamente ci si accoppia o si rimane single senza un vero e proprio vissuto; poi allarga lo sguardo, e questa assenza di affetto finisce per essere una condizione esistenziale come effetto e causa del terrore pervasivo di poteri disciplinari e di controllo senza soggetto, che frammentano e distorcono la libido, per farla diventare un dispositivo di riconoscimento gregario, svuotandone la potenza inconscia, lasciando che le parole dialogate diventino progressivamente l’escrescenza di una realtà che muore nella sua inerme pretesa di non desiderare più niente.
Una regia ottima, quella di Giorgos Lanthimos, con tratti non solo grotteschi ma anche surrealisti, in cui la mimica facciale e la gestualità sembrano recitare in un cinema muto e dove la musica e l’immagine cozzano magistralmente, mettendo in risalto il senso dell’assurdo; bravi tutti gli attori, i cui nomi (in primis proprio Colin Farrell) avrebbero potuto permettersi qualche cedimento al bon ton, e invece proprio no... è tutto in modo rigorosamente scorretto. Rimane qualche guazzabuglio nella trama, ma dato lo spessore dell'opera, per quel che mi riguarda, è solo un'inezia.
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