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Onirica

Regia di Lech Majewski vedi scheda film

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La recensione su Onirica

di logos
9 stelle

Lech Majewski con la sua trilogia ha trascinato l’esistenza dalla vita alla sua sublimazione nell’arte pittorica (Il Giardino delle delizie 2004), per poi farla lievitare all’interno dell’arte stessa, nel dipinto di Pieter Bruegel il Vecchio “La salita al calvario”. Proprio in questo secondo momento (I colori della passione 2011) nel quale il quadro è lo spazio in formazione della stessa realizzazione scenica del film (in cui vengono trasposti gli eventi della passione e morte di Cristo nella martoriata regione olandese del XVI secolo, sottoposta al controllo spietato degli spagnoli e della Controriforma), noi vediamo l’inaudita possibilità di come si aggirano, attraverso la forma, la sintassi e lo stile pittorico, le perplessità e le angosce di un mondo in rovina contemplato dall’artista Bruegel e la sua eternizzazione simbolica come segnale per il nostro tempo. E così di nuovo si ritorna al presente vivente, ma non più a quello del Giardino delle delizie ma a quello appunto di Onirica. Abbiamo allora tre momenti che riproducono l’esistenza dalla vita al quadro, dentro il quadro e di nuovo fuori dal quadro. Ma come si sta nel mondo presente, ributtati nell’oggi, dopo essersi aggirati entro La salita al calvario?

 

Il mondo che viene letto in Onirica non può prescindere dai due capolavori precedenti, con le tematiche che si porta dietro: l’amore nell’imminente fine, il senso della perdita e la caduta irreversibile di tutti i valori, in un alone di sparizione e morte di Dio la cui unica religiosità che ne rimane è la parola speranza. Quella speranza che nasconde l’impotenza di fronte al crollo dell’esistenza, segnata com’è dalla sua impossibilità di credere a un Dio che sia onnipotente e al tempo stesso misericordioso, un’esistenza che deve fare i conti con la perdita degli affetti più cari, all’interno degli sconvolgimenti naturali e politici che la costellano come sua ambientazione, nella Polonia del 2010.

 

Ma in questa ultima fatica Majewski, dopo essersi cimentato con Bosch e Bruegel il Vecchio, si confronta, per interpretare l’esistenza nel nostro tempo, con Dante, e precisamente con la Divina Commedia. Chi volesse vedere finalmente una Divina Commedia tratteggiata con lo stesso rigore presente nei Colori della passione in cui la potenza creativa dello stile dal suo interno dischiude la materia vivente del quadro di Bruegel, rimarrebbe sicuramente deluso. In Onirica non c’è una rilettura dell’opera dentro la stessa opera dantesca, ma la vita di un uomo, completamente segnata dal dolore e dalla perdita della sua donna Basia e del suo caro amico Kamil, in un incidente stradale. Il nostro protagonista, che porta il nome di Adam e con sé il nome di tutta un’umanità lacerata, lo vediamo esordire all’interno di una Chiesa, dove si risveglia da uno dei suoi costanti sogni che lo trattengono, tra altre visioni oniriche, nei meandri danteschi dell’Aldilà.

 

Adam, professore universitario di lettere, dopo quell’incidente si vede come un superstite colpevole, che è stato protetto da un angelo custode, il cui peso invasivo delle sue ali comunica quanto sia imbarazzante il suo proprio ruolo di angelo custode, in mezzo a uno sfacelo generale dove qualunque teodicea finisce per essere una commedia umana. Con questa sua colpa di esistere, e per rinnegare una trascendenza impossibile, Adam trova lavoro e rifugio nello stordimento del mondo, rappresentato da un supermercato anonimo, spersonalizzante in cui si raggruma tutto il piattume alienato della modernità. Sennonché non può rinnegare completamente quel che era, trova conforto nella Divina Commedia, che ascolta con il suo audiolettore e soprattutto si abbandona al sonno nel quale ripercorre, nella dimensione onirica, la stessa Divina Commedia, ma in chiave personale, riattualizzando l’opera nel proprio vissuto esistenziale, in cui Kamil raffigura Virgilio mentre Basia l’agognata Beatrice. Nell’onirico il percorso di Adam è scandito da immagini altamente metafisiche, anche suggerite nella veglia dall’unica figura a cui è legato, la zia, che cerca di consolarlo sulla morte attraverso il pensiero di Seneca e di Heidegger o le meditazioni persiane secondo cui la luce non è tale senza le tenebre. E qui abbiamo una chiara allusione anche a Hegel del mondo capovolto, dove il male è il bene e il bene è il male. Tutto ciò viene inserito abilmente nelle scene oniriche, anche se con una certa rindondanza, per cui vediamo l’inferno trasformarsi nello stesso supermercato presso cui Adam lavora, dove incontra Kamil,  dove dei buoi diveltano la pavimentazione per arare una terra che ha perso il suo calore storico, un inferno che è anche seduzione, con la donna in bichini del telequiz che porta Adam su una spiaggia assolata e che ben presto diventa roccia desertica. La radura di Heidegger accade in un bosco nel quale persone immobili celebrano un matrimonio statico, e questa staticità allude al purgatorio, ma se vogliamo anche lo svelamento dell’Essere nel suo nascondimento, secondo il senso heideggeriano. Ma su tutto aleggia il mondo capovolto di Hegel, dove gli opposti si attraggono e si rovesciano l’uno nell’altro, e l’uovo della colomba della zia, da essa stessa covato, viene poi espulso da una donna, dopo aver fatto sesso nel cimitero, mentre si stende sulla tomba in cui è sepolta la donna di Adam (sono scene, lo ribadiamo, forse un po’ troppo sature di significati, ma che riescono a mettere in moto tutto un gioco di simboli, in particolare quello della vita e della morte, e dell’identità che si nega per riaffermarsi). Quando Adam trova Basia Beatrice abbiamo l’impressionante amplesso vorticoso nell’aria che allude a quello di Paolo e Francesca, dopodiché Basia viene condotta da Adam verso la trascendenza che al tempo stesso diventa l’inondazione della chiesa con cui si è aperto il film, in cui lo scrosciare dell’acqua di fronte ai fedele si trasforma in un lavacro purificatore, che al tempo stesso, però, è quell’acqua che ha colpito a morte la Polonia nel 2010.

 

Si tratta certamente di un’opera complessa, il testo di Dante diventa l’orizzonte di un percorso esistenziale, in cui centrale è la figura di un Dio presente/assente, in cui bene e male si aggirano nell’indistinta armonia contemplativa, simile a quella del mugnaio, nei Colori della passione, che dall’alto del suo mulino assiste, imperscrutabile, al calvario del Figlio, mentre tutti gli occhi degli umani sono rivolti verso Simone e non verso Gesù che cade trasportando la croce. In Onirica la ricerca esistenziale coincide con la ricerca dell’amore perduto e dunque del divino, ma con il segnale ben preciso che al di là di tutta questa ricerca, le ferite non possono essere trascese, perché solo accentandole nella sofferenza e nel pentimento esse diventano testimoni di uno scacco inaggirabile, che rinvia alla trascendenza come possibilità/impssibile, e forse anche come inquietante scandalo salvifico, ma mai come probabile realtà.

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