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Piccole scosse

Regia di Aleksandra Gowin, Ireneusz Grzyb vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Piccole scosse

di MarioC
7 stelle

Film di scatole e bradisismi di corpi e psicologie, questo (solo apparentemente) leggiadro Piccole scosse, dei registi polacchi Aleksandra Gowin e Ireneusz Grzyb.

L’incontro fra tre anime sole, ognuna diversamente connotata da una particolarità altera che ne sancisce l’unicità nel mondo (la ragazza che ha il timor panico di essere toccata, quella dalla sessualità ancora indefinita, il ragazzo come raggelato da un matrimonio fallito che crede di trovare, lui ormai guscio piuttosto vuoto, un senso nell’inscatolamento di materia dentro altra materia)  si trasforma in un breve rondò di tentativi inesausti, ma destinati all’implosione, di conoscenza.

I ragazzi vagano per le strade di una Lodz che pare anch’essa senz’anima, scatola vuota destinata al forzoso inglobamento dentro altrui dinamiche politico-sociali, incontrandosi, respingendosi, tentando approcci di vario tipo (amichevoli, professionali, sessuali), eppure restando per sempre piccole monadi sfarfallanti, cui la mancata conoscenza del domani regala tuttavia non certezze apocalittiche, bensì una volubilità di fondo che è forse l’arma di guerra della gioventù.  

 

Il film è tutto qui, ma non è poco. Segue il vagare annoiato/compulsivo dei ragazzi, ne scandaglia un’essenza probabilmente indicibile, li accosta e li allontana senza un vero perché. Le scene sono piccoli quadri, battuti prevalentemente dalla telecamera fissa, che si sciolgono in immagini dalla esilarante superfice e dal retrogusto più che amarognolo. Si guardi al racconto che l’uomo fa della morte della moglie, trafitta senza un gemito da un coltello mentre sta tentando di reperire per il marito lardo curativo del mal di schiena, mentre le due ragazze, del tutto indifferenti alla smunta passione del ricordo, curano con ferma professionalità la raccolta delle cose ormai inutili (il loro lavoro è infatti quello di svuotare le case dei morti); oppure alla scena della presentazione di Piotr alla famiglia di Asia, durante la quale gli ineffabili genitori finiscono con il chiedersi se le ordinarie attenzioni dedicate alla figlia possano mai essersi trasformate in una sorta di violazione di tipo sessuale (peraltro instillando tale dubbio anche nello spettatore, in forza di un contegno di lunare astrusità); o, ancora, al momento della seduzione tentata, anch’essa balletto di bocche, nasi e menti che volteggiano impavidi ma rigorosi nella propria solitudine.

E poi ci sono fotografie in movimento, invisibili ballerine che chiedono pubblico, la consegna di strani oggetti in odore di fattura parabellica. Il tutto servito in una salsa che fa della lentezza il suo ingrediente principale. Non è affatto un male.  

 

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