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Manglehorn

Regia di David Gordon Green vedi scheda film

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La recensione su Manglehorn

di EightAndHalf
5 stelle

Manglehorn è un anziano fabbro (specializzato in chiavi) che vive una vita fatta di delusioni e rimorsi. La piattezza della sua esistenza (che Green riporta forse fin troppo fedelmente!) è generata dalla mancanza di alcun tipo di legame affettivo stabile, distrutto dal rapporto discontinuo con il figlio e dal ricordo costante e frequente di una certa donna, Clara, suo vero grande amore, diversa però da quella che era la sua amatissima moglie, Beatrice. Egli vive assediato dai ricordi, dall'immobilità, da una misantropia parziale che non trova, nel film, una sua espressione realmente precisa: se da un lato egli si sente più che altro legato alla sua gatta Fannie, in seguito dimostra grande affetto nei confronti della nipote e tenta approcci con una donna, Holly Hunter, che lavora in banca e che si infatua di lui.

Al Pacino

Manglehorn (2014): Al Pacino

 

La vita di Manglehorn non va avanti, è tappezzata di foto del passato, di lettere mai lette e di piccoli eventi sfortunati e particolarissimi, diversi da quelli più legati alla sua esistenza ma certamente enfatizzati da quei momenti particolarmente felici in cui David Gordon Green decide di creare una scena memorabile. E' vero infatti che sequenze come quella dell'incidente con il camion di angurie non si scordano facilmente, ma è il complesso che davvero non convince. Non si capisce mai dove il film voglia andare a parare, e confonde simile mancanza di prese di posizioni (dunque presunta imparzialità) con un'ignavia tematica senza precedenti. Rivelando le sue qualità di regista, ma non riuscendo a rispettare le esigenze di una sceneggiatura particolarmente infelice, Green tenta la commedia drammatica e introspettiva, empatizzando con i suoi personaggi e forse sperando che qualcosa scatti da solo: un sussulto, un brivido, qualunque cosa. Ma è la piattezza lo stato emotivo che trionfa, nonostante trovate estetiche varie. E se un film si propone di trovare la simpatia o quantomeno la partecipazione del pubblico nei confronti di un personaggio, non si deve mettere in dubbio la necessità di dare delle direttive giuste, di orientarsi, di non cullarsi nell'indefinizione. Perché, a meno che non abbia ben altre ambizioni (sperimentali, metafilmiche), un film necessita di trovare un ponte fra pubblico e vicende narrate (in qualunque modo: emozione, terrore, disturbo), mentre qui ci si blocca davanti a un muro, con piccoli forellini, ma assolutamente non oltrepassabile. Soprattutto quando il film vuole rivelarsi, in definitiva, accomodante: il risultato è un senso di respingimento davvvero fastidioso.

 

Al Pacino, nel ruolo di Mangelhorn, fa l'istrione meno del solito e cerca di chiudersi in un personaggio solo a tratti estroverso, ma che non va davvero da nessuna parte. Lo stesso Holly Hunter, indubbiamente abile ma caratterialmente con un personaggio che ha lo spessore di un foglio di carta. Solo la regia appunto si salverebbe, e forse le intenzioni (se davvero si rendessero intelligibili), ma non basta a scaccciare il senso di tedio che inesorabilmente avvolge lo spettatore.

 

In concorso al 71° Festival del Cinema di Venezia.

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