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Uno sguardo dal ponte

Regia di Sidney Lumet vedi scheda film

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La recensione su Uno sguardo dal ponte

di degoffro
8 stelle

Convincente ed appassionante, nonché inedita, anche per le tematiche, trasferta europea per Sidney Lumet alle prese con la celebre piece "A View From the Bridge" del 1955 di Arthur Miller. Sceneggiato da Norman Rosten, fotografato da Michel Kelber, girato in studio a Parigi con alcuni esterni a Brooklyn, un melodramma passionale e sofferto, teso e vibrante, doloroso e audace (il famoso bacio, insistito e prolungato, dato come gesto di sfida e provocazione da Raf Vallone a Jean Sorel, fece molto scalpore, scuotendo gli ipocriti e addormentati ambienti borghesi dell'epoca), tragico e disperato (il duello finale, doloroso ed inevitabile, culminante nel gesto liberatorio e suicida di Vallone), cronachistico e sociologico (la condizione degli immigrati italiani a New York, costretti a vivere nella clandestinità e nella paura, nel sospetto e nell'inganno, nel timore di essere scoperti e rispediti a casa - "con l'ufficio immigrazione non si scherza"), tenero e delicato (nella fragile e sensibile storia d'amore tra la semplice Caterina, nipote del protagonista, ragazza acqua e sapone, pronta ad entrare con entusiasmo nel mondo del lavoro e a lasciarsi andare finalmente all'amore vero, e Rodolfo, giovane immigrato, bello e sfacciato, con la passione per il canto, "sempre in giro a mettersi in mostra", abile ballerino - "gorghegggia e ancheggia" dice di lui il protagonista, mentre "bambola di carta" o "il canarino" lo soprannominano gli operai suoi colleghi). Ma il punto di forza del film è il suo andamento shaekesperiano nella minuziosa e attendibile descrizione psicologica della gelosia che progressivamente divora il protagonista Eddie Carbone (un intenso e motivatissimo Raf Vallone). Dapprima Eddie viene rappresentato nei suoi aspetti migliori: idolo per i suoi colleghi del molo, dei quali prende sempre le difese di fronte al severo e poco accondiscendente titolare, punto di riferimento per l'Avvocato del quartiere l'umano e saggio dottor Alfieri, a cui basta ascoltare soltanto la sua parola per accertare la verità su eventuali incidenti avvenuti al porto, amato dai bambini del quartiere con i quali spesso si intrattiene a giocare, disponibile ad ospitare ed aiutare con ogni mezzo Marco e Rodolfo, i due cugini italiani della moglie, appena giunti clandestinamente dalla Sicilia, adorato dalla nipote Caterina nei confronti della quale nutre però una gelosia insana, malata e pericolosa che lo porterà alle estreme conseguenze. L'arrivo in casa dell'affascinante e spavaldo Rodolfo ("Qualche volta c'è troppa gente in una camera") e il progressivo fiorire di Caterina sempre più bella e desiderabile ("A una cosa non avevo mai pensato: che un giorno saresti diventata grande") scuote i già instabili e precari equilibri di Eddie, incapace di confidarsi anche con la moglie (una toccante e commovente Maureen Stepleton) con la quale da mesi non riesce più nemmeno ad avere rapporti, tanto è in ansia per la nipote. La sua gelosia è così divorante e devastante che arriva a pedinare e seguire in maniera quasi maniacale i due fidanzati, insinua sospetti nella nipote sulle reali intenzioni di Rodolfo, facendole credere che il ragazzo voglia sposarla solo per avere il passaporto necessario per rimanere negli Usa, seminando dubbi anche sulla virilità del giovane: "Non è normale" continua a ripetere. E Caterina non riesce a dargli retta: "Ma adesso è tutto cambiato: anche se ci sei so che non è per me. Non so più neanche se mi ascolti". Nemmeno le parole dell'avvocato Alfieri, prodigo di consigli e suggerimenti paterni ("Lasciala andare: la sua vita appartiene a lei. Il tuo dovere l'hai fatto: il troppo amore a volte fa male") riescono a calmare la sua rabbia furibonda e devastante: ormai è deciso a denunciare all'ufficio immigrazione Rodolfo, per lui "uno sporco ladro che insudicia Caterina con le sue luride mani". E alla fine, quando gli agenti dell'immigrazione verranno a prelevare Rodolfo e Marco per condurli in prigione, ciò che ferirà di più Eddie non saranno le disperate parole che Marco, costretto per colpa sua a ritornare in Italia, gli griderà, disonorandolo, davanti a tutto il quartiere, mentre è trascinato via ("Hai assassinato i miei figli: hai tolto loro il pane"), quanto le affermazioni sofferte e crudeli che l'esasperata Caterina gli rinfaccerà: "Sei un vigliacco che ha paura della luce del giorno e quando nessuno ti vede mordi la gente che dorme. Sei un topo di fogna: è là che devi stare". L'onore, il nome ed il rispetto infangati da Marco con le sue parole sono nulla in confronto alla perdita definitiva della stima, dell'affetto e dell'amore dell'adorata nipote: una ferita troppo grave per poter essere rimarginata e riassorbita, un dolore immenso per il quale non c'è alcuna consolazione, una perdita assoluta che giustifica un gesto estremo: non vale più la pena di vivere. "Solo Dio fa giustizia", gli aveva detto l'avvocato Alfieri: Eddie ha preferito chiudere da solo, egoisticamente e vigliaccamente i conti con la propria vita.
Voto: 7+

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