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Operazione U.N.C.L.E.

Regia di Guy Ritchie vedi scheda film

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La recensione su Operazione U.N.C.L.E.

di solerosso82
7 stelle

1963. L’agente della CIA Napoleon Solo (Henry Cavill) è costretto a far comunella col rivale sovietico Illya Kuryakin (Armie Hammer) per sventare il piano nucleare di un’organizzazione terroristica neonazista, guidata dai coniugi Vinciguerra (Elizabeth Debicki e Luca Calvani) con sede a Roma. Gli agenti sono affiancati dalla giovane esca Gaby Teller (Alicia Vikander), il cui zio lavora per i cattivoni.

Guy Ritchie ci regala uno spy movie naif e un po’ radical chic, senza nulla da spartire con gli action ipertrofici hollywoodiani. Citazionista, vintage e retrò nella confezione (dalla fotografia, patinata, tipicamente “sixties”, a certi estetismi grafici, quali i sottotitoli), strizzando l’occhio ai migliori Bond-movie dei connazionali Terence Young e Guy Hamilton, il regista rifiuta però facili manierismi attraverso una regia briosa e un montaggio assolutamente anticonvenzionali, vere forze creative, accompagnando la visione con una selezione musicale altrettanto geniale e ricercata (brani di Luigi Tenco, Morricone, Susanne Doucet, Solomon Burke, Roberta Flack, Tom Zé e l’immancabile main theme televisivo di Jerry Goldsmith).

Dopo un esilarante teaser, segue una prima parte in sordina e più fiacca, per decollare sui set romani con un susseguirsi di gag sorprendenti e concludersi con un finale senza esclusione di colpi di scena. Assoluto godimento l’incontro con i rispettivi villain al really e il primo assalto notturno della coppia di agenti concluso in modo selvaggiamente surreale sulle note di Che vuole questa musica stasera di Peppino Gagliardi.

Operazione U.N.C.L.E. condivide pochissimo con l’omonima serie televisiva americana (in onda tra il 1964 e il ’68), tranne la presenza della coppia di agenti protagonisti. Napoleon Solo, individualista cinico e beffardo dietro l’aria di elegante gentiluomo americano (ma dal fascino british) di Henry Cavill, sembra un mix bizzarro tra Lupin III e il Bond di Sir Roger Moore, un dongiovanni dalla battuta facile, sempre pronto a sbeffeggiare il collega rivale. Fossetta sul mento a parte, ha ben poco in comune con la versione televisiva del rassicurante Robert Vaughn.

Armie Hammer offre una spia sovietica facilmente irascibile, difficilmente “diplomatico” nel risolvere le questioni, tanto brutale nell’apparenza quanto tenero con la sua partner femminile, il cui contrasto caratteriale si materializza con quello fisico, tra le sue imponenti fattezze e quelle minute della Vikander.

La perfidissima Victoria Vinciguerra, fumettisticamente stereotipata, può contare però sull’ottima presenza scenica di Elizabeth Debicki, ieratica come una cariatide greca, ma con quel fascino magnetico che ricorda tantissimo l'intramontabile Barbara Bouchet.

Piccola parte per Hugh Grant, nel ruolo dell’agente Waverly, deus ex machina dell’Organizzazione U.N.C.L.E.

Berlino Est ricostruita sui set inglesi. Riprese esterne a Londra e nel Belpaese, tra Roma, Pozzuoli e il Parco del Gran Sasso.

Finale aperto con battuta che rinvia a un sequel. Peccato, davvero, che il pubblico lo abbia snobbato, asfaltato dagli incassi stellari di Mission Impossible Rogue Nation (ironia, Tom Cruise ha abbandonato Ritchie a pochi mesi dall’inizio delle riprese).

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