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Il ricatto

Regia di Eugenio Mira vedi scheda film

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La recensione su Il ricatto

di OGM
8 stelle

Tutto accade durante un concerto. Un celebre pianista, all’insaputa di tutti, sta giocando una partita dall’esito potenzialmente mortale, per sé, per sua moglie, per i suoi amici. Sembra solo un brutto sogno, invece è un’incredibile realtà. Quella voce che gli parla come un fantasma interiore appartiene ad una persona misteriosa e invisibile, che però è un uomo in carne e ossa: un criminale  che sta in agguato da qualche parte, nel teatro, e lo tiene costantemente sotto tiro. Il regista spagnolo Eugenio Mira, già autore di Agnosia, ama le invenzioni complesse e micidiali. L’ingranaggio deve essere geniale, ma racchiuso dentro uno spazio ristretto: la cassa di un pianoforte, i pochi metri quadrati di un palcoscenico. La tensione nasce comprimendo azione e pensiero: l’accelerazione è un virtuosismo per pochi, come quel brano impossibile da suonare, che si intitola La cinquette e sul quale anche il grande Tom Selznick, cinque anni fa, è miseramente caduto, interrompendo la sua brillante carriera di enfant prodige. Ed è proprio per quel pezzo che l’artista, la sera della sua rentrée, sta seriamente rischiando la vita. Per capirne il motivo bisogna arrampicarsi agilmente lungo le spirali ascendenti di una trama che si svolge essenzialmente dietro le quinte, nei corridoi, nei camerini, in una specie di furiosa caccia al tesoro da cui il protagonista viene continuamente risucchiato, anche durante la sua esibizione. Il musicista, nelle pause, abbandona la scena e corre via. Gli spettatori si spaventano e si chiedono perché, e nessuno può immaginare cosa vi sia sotto. Nessuno lo vede maneggiare freneticamente il cellulare, sulla sedia, sotto lo spartito, mentre cerca di chiedere aiuto. Il dramma rimane nascosto, come un affanno che pulsa silenziosamente sottopelle. Lo percepiamo solo noi, quando la macchina da presa inquadra in primo piano lui, Tom, che credeva di essere stato invitato per dare vita ad uno spettacolo memorabile e riacquistare la fama perduta, ed invece si ritrova vittima di un tremendo ricatto. Aveva paura di questa seconda, decisiva occasione, ma adesso le circostanze lo inducono ad essere più che mai intraprendente e coraggioso, disinibito e pragmatico. L’artista cresciuto fuori dal mondo è improvvisamente costretto a toccare con mano tutto il suo paradossale orrore, fatto di assassini senza scrupoli e di sfide sul filo del rasoio che non si possono perdere. La concretezza, in questo caso, procura una vertigine ben più intensa dell’estasi creativa: quel brivido, che spunta dal buio, è infatti intrecciato col vero terrore, la minaccia di un male che non dà scampo e di fronte al quale ben poca cosa è il pericolo di sbagliare una nota. Loro, là davanti, nella sala, applaudono e non si rendono conto di nulla, nemmeno del dito che ha toccato un tasto nero anziché bianco. Guardano e ascoltano, come burattini, ma rimangono fuori dalla storia; in fondo, non sono nemmeno parte dello show, la cui vera emozione è un  battito cardiaco inudibile, sovrastato dal grottesco clamore della sensazione. Questo film respinge verso il fondo quell’inutile rumore, per amplificare il palpito che riassume tutto quanto fa vibrare il corpo e l’anima:  la passione, l’amore, l’istinto di sopravvivenza. Grand piano è un thriller esistenziale, in cui un individuo è solo contro il proprio incubo, mentre gli altri, ignari, fanno festa intorno a lui. Intanto nessuno  si diverte, e  qualcuno muore.   

                                          

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