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Un fantastico via vai

Regia di Leonardo Pieraccioni vedi scheda film

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La recensione su Un fantastico via vai

di scandoniano
3 stelle

Come già successo per i film di e con Leonardo Pieraccioni, anche in “Un fantastico via vai” la prima sensazione è di assistere ad un film fasullo, che lentamente viaggia verso qualcosa di irreale, architettato per fare in modo che si concretizzi l’ennesima sagra dei buoni sentimenti. Da questo punto di vista, emblematico è il finale, dove tutto, ma proprio tutto, si incastra a dovere, in maniera fin troppo scontata e prevedibile. Dopo mezz’ora di film si capisce tutto: vendette, destini e soprattutto gli accoppiamenti. “Accoppiamenti” che per una volta non sono fisici (Pieraccioni non copula e a stento limona), nessuno si innamora di lui, o quasi, la voce fuori campo è limitata e la bellona di turno non è straniera (e in realtà forse nemmeno c’è una bellona). Questi ultimi aspetti, dissonanti rispetto alla cinematografia dell’autore toscano, non ne fanno però un’operazione originale, e per la verità nemmeno ne inficiano l’impronta autoriale consolidata.

A proposito di topoi pieraccioniani, è scioccante apprendere nell’incipit che il protagonista è sposato! Poco dopo, con l’escamotage della cacciata di casa per una presunta scappatella, il tutto si rimette a posto: Arnaldo (Pieraccioni) è solo, smarrito e contornato da ragazze giovani e belle, un modo come un altro per ovviare all’età che avanza (a quaranticinque anni la storia del single confuso non avrebbe retto) ed un modo come un altro per fare sempre il solito film… Leonardo Pieraccioni sa di non poter riciclare l'usuale caratterizzazione, e prova a dimostrarlo nell’unica situazione ironica del film, quella in cui il regista scimmiotta il se stesso di 20 anni prima, rifacendo, con qualche variazione, la scena della corsa fuori dal ristorante del film d’esordio “I laureati”.

Più in generale “Un fantastico via vai” è un film frettoloso, non nei ritmi - piuttosto lenti - bensì nella sceneggiatura, dove non accade nulla di interessante e gli stereotipi si sprecano (e per di più, piuttosto che trattarli con ironia, la sceneggiatura quasi li ostenta – la siciliana non illibata, il chirurgo con la paura del sangue, il nero che sta con la figlia dell’imprenditore xenofobo, la moglie che chiarisce l’equivoco e riabbraccia il marito, non prima che quest’ultimo abbia corretto, con la sua esperienza, l’esistenza ai quattro giovani ed inesperti coinquilini, che a loro volta gli cambiano la vita).

Ad affiancare il protagonista, ci sono Serena Autieri, la moglie impaziente ed insoddisfatta, Marco Mazzocca e Maurizio Battista, colleghi del protagonista che forniscono quel po’di verve necessaria, pur apparendo ingessati e anch’essi stereotipati, nonché gli storici Panariello e Ceccherini (in ruoli secondari) e le new entry Alessandro Benvenuti ed Enzo Iachetti (seppur con puri camei).

Si ride poco e i sentimenti sono di plastica. Ma almeno il product placement è “delicato”.

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