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Maps to the Stars

Regia di David Cronenberg vedi scheda film

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La recensione su Maps to the Stars

di lohengrin
9 stelle

Due mappe speculari legano gli umani tra loro, e le stelle in costellazioni. Gli umani, uniti inestinguibilmente e ineluttabilmente in senso diacronico attraverso le generazioni, imbastiscono anche effimere reti relazionali sincroniche legate soprattutto alle opportunità e ai bisogni del momento, alle ambizioni e alla fuga dalle paure accumulate nel corso della vita. Questo vale anche per quei pallidi simulacri degli astri che sono le star hollywoodiane. 

È con questi presupposti che si sviluppa la tragica vicenda della famiglia Weiss: il padre Sanford, un influente guru e psicoterapeuta, la madre manager del figlio Benjie, un giovanissimo e strapagato attore di sit com, e la figlia Agatha, internata per anni in un ospedale per una riabilitazione psichiatrica. L'opulenta famiglia è viziata da un male originario. Anzi, dal padre di tutti i mali che, come attesta Levi-Strauss, è condannato da tutte le società che hanno subìto il passaggio dalla natura alla cultura: l'incesto. Il padre e la madre sono fratelli. E il fatto che questo peccato sia inconsapevole, o generato dalla Tyche, cioè dal Caso, non ne attenua la gravità: la famiglia è già destinata a squassarsi e a precipitare nel suo tragico e inevitabile fato. Come avviene nell'orda primitiva, la figura del padre è già perduta a causa della promiscuità originaria. Egli cerca di rimuovere il male: non elaborandolo, ma allontanandolo simbolicamente attraverso il ripudio della figlia, colpevole di tentata espiazione. Sappiamo che la rimozione non è mai risolutiva. E non lo è, in particolare, nel caso di questo padre - un John Cusack, sempre vestito di nero, quasi uno spaventapasseri con i pantaloni a tubo - perché, come Penteo delle Baccanti, cerca di interpretare con la razionalità ciò che, invece, ha a che fare con un'esistenza per lo più dominata da forze oscure, incomprensibili e distruttrici.

È una mappa tracciata dal destino quella che lega i padri, e le loro colpe, ai figli. Ed è facile, in questo caso, anzi semplicistico, parlare di nemesi storica. 

Maps to the stars è, però, anche un'opera mistica e mitica. Si concede il lusso di ondeggiare nel dualismo tra acqua e fuoco che qui, come in Empedocle, aggregano (Amore) e disgregano (Discordia) in modo ciclico e casuale. Si arde e si annega. E non dimentichiamo che il fuoco, uno dei quattro elementi che, con l'acqua, la terra e l'aria secondo il filosofo costituirebbe la radice di tutte le cose, si identificherebbe con Zeus. E la protagonista viene da Jupiter (cioè Giove, in Florida). 

Da questo ritorno della figlia Agatha alla famiglia che l'ha ripudiata, e dal suo incontro con l'attrice Havana (Julianne Moore, migliore interprete femminile al festival di Cannes 2014), parte il film di Cronenberg, che fluttua tra continui e irridenti parallelismi tra sacro e profano, tra le volgari defecazioni e flatulenze di Havana e la sublime poesia di Paul Eluard,  tra la sit-com trash ("Cattiva baby sitter") e il cinema d'autore ("Acque rubate"), tra le becere certezze di certi psicoterapeuti fallimentari ("definire è dominare"), e la purezza del caos, che sgomina quelle stesse certezze e ci spinge a reclinare il capo di fronte alle incomprensibili decisioni degli dei, accettando il nostro destino.

Ma il film non è solo un'elegia degli opposti, ma anche un gioco continuo di rimandi speculari: l'autista Jerome, comparsa di un film di fantascienza, viene truccato con uno strano disegno sulla guancia che ricorda le tracce delle ustioni sulla pelle di Agatha;  Havana rivede la propria madre vittima di un rogo nell'esile figura di Agatha, e soffre di allucinazioni proprio come Benjie, quest'ultimo compete con un piccolo co-protagonista e la matura attrice Havana con una concorrente nel casting; Havana, alla fine del film, nell'apostrofare Agatha sta, di fatto, parlando di se stessa con se stessa. Lei ha sempre perseguito con ogni mezzo un'improbabile emulazione di una madre troppo bella, persino gioendo della morte del figlio di una concorrente, pur di ottenere il ruolo che era stato della madre.  Quest'ultima, in una delle sue apparizioni, le dice: "tu mi odi, eppure vuoi essere me". 

Ed ecco un altro dualismo, Havana è una vittima passiva della propria ambizione: non determina il proprio potenziale successo, né cerca di redimersi. Agatha, invece, riconosce lucidamente le colpe dei genitori incestuosi, e pur cercando di emularli rimettendo in scena con il fratello il matrimonio dei genitori, cerca di purificarle. È lei che, alla fine, prende la suprema decisione di scrivere "sull'assenza che non desidera, sulla nuda solitudine e sui sentieri della morte", la parola "libertà".

Come sono vane e blande le umane certezze, davanti agli ineluttabili colpi del fato! Lo sanno tutti i grandi eroi tragici, da Edipo a Macbeth, da Penteo ad Amleto.

Le stelle, dalle loro distanze siderali, non gioiscono né si rattristano. Ma indifferenti come gli dèi ai turbamenti che attanagliano gli uomini, disegnano mappe insondabili nell'armonia del Cosmo.

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