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L'intrepido

Regia di Gianni Amelio vedi scheda film

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La recensione su L'intrepido

di maurizio73
4 stelle

Antonio è un mite quarantenne, abbandonato dalla moglie, che si arrabatta ogni giorno con lavori precari e malpagati facendo il sostituto, per poche ore od un'intera giornata, nei più disparati contesti lavorativi e che ripone tutte le sue speranze e aspettative nel giovane e talentuoso figliolo che studia il sax e si esibisce con una jazz band. Il suicidio di una sua giovane amica, di cui è segretamente innamorato, e l'ennesima delusione professionale lo convincono ad emigrare, come umile operaio, in una miniera albanese. Ritornerà in Italia solo per incoraggiare il figlio afflitto da una grave crisi personale e professionale.
Foraggiato e prodotto con il sostanzioso contributo pubblico (Rai Cinema e Ministero della Cultura in primis) questa tragicommedia dai toni surreali e dal retrogusto amaro segna, con esiti modesti ed una preoccupante involuzione del linguaggio, il ritorno di Amelio sulla ribalta festivaliera lagunare dove passa (giustamente) quasi o del tutto inosservato. Pur incentrando il soggetto sugli allarmanti segni di una contemporanea precarietà sociale ed economica, sulle macerie di un'Italia post-industriale tra cui si muove, con garbata indolenza, lo spettro di un lavoratore senza identità e senza futuro incarnato dal camaleontico e ostinato ottimismo di Antonio Albanese, Amelio finisce per smarrire il senso di un discorso cinematografico altrove forte ed emozionante (L'America, La Stella che non c'è) ed incartarsi in una sorta di sgomento apologo su di una squallida modernità in cui sembrano frammentarsi e disperdersi non solo le qualità umane e professionali del protagonista ma finanche i suoi rapporti sociali e familiari, disgregando così il nucleo fondamentale di una smarrita convivenza civile. Alle buone intenzioni tuttavia non fa seguito una coerente e credibile scrittura cinematografica, pesando da un lato le indecisioni di una struttura narrativa incerta tra didascalismo (letterale) e metafora e dall'altro l'inconsistenza di personaggi che sembrano abbozzati su di uno sfondo scenografico posticcio, ridicole e patetiche macchiette che dovrebbero rappresentare i vizi o le virtù esemplari di un irredimibile individualismo sociale (dall'intrepido ed eroico protagonista al laido e cinico 'caporale', dal tormentato e talentuoso figlio sassofonista alla disperazione anaffettiva di una disadattata figlia di buona famiglia). Film che ci vuole dire qualcosa ma finisce per farlo poco e male, indebolito dall'incertezza di una forma cinematografica impropria e confusa (non propriamente nelle corde dell'autore) e da un'episodica concezione dello sviluppo narrativo, che cerca di far sorridere riflettendo (si diceva un tempo 'a denti stretti') ma finisce per suscitare solo una indistinta smorfia di irridente disapprovazione. Bravo come al solito Albanese nel cercare la quadra di un personaggio indecifrabile e caleidoscopico che ripropone con garbo e misura le coloriture dialettali di un apolide senza identità e senza futuro a cui basta la mattina riuscire ad avere un motivo per guardarsi ancora una volta allo specchio facendosi la barba.
Melanconiche note jazz nel finale struggente e didascalico. Un misterioso oggetto del desiderio artistico spiaggiato sulla battigia della laguna di Venezia quale simbolico naufragio di un cinema italiano che sembra aver smarrito definitivamente la propria identità.

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