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Aquadro

Regia di Stefano Lodovichi vedi scheda film

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Karl78

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La recensione su Aquadro

di Karl78
5 stelle

Maria Vittoria Barrella sopra tutti salva la pellicola (sarà che mi ricorda una giovane ragazza che conosco ma ho trovato le sue espressioni incantevoli). Che non inizia affatto male ma poi, com'è tipico ormai della filmografia italiana, quando è tempo di lasciare la poesia, il romanticismo, il puro edonismo finto liberatorio post-sessantottino in cui tutto è desiderabile e non esiste alcuna riflessione su quanto si ritiene giusto o sbagliato; quando si abbandona la dimensione dell'individuo isolato e la si allarga ai rapporti interindividuali oltre la coppia, per sviscerare quindi gli aspetti complessi del rapporto tra privato e pubblico, e perciò anche la dimensione etica, sociale, politica dell'agire umano, si scade nella banalità più trita e inconcludente. E infine, in un semi-irrealistico finale (per i modi, più che altro), di un film in cui la famiglia dei sedicenni protagonisti è totalmente assente - non in senso figurato: non compare mai, non ci sono attori che impersonino i genitori.

 

L'adolescenza si 'costruisce', si percorre e si supera, spesso - e spesso stupidamente - e almeno in una certa misura, in opposizione - come ogni 'identità', per quanto labile e transitoria - alle supposte figure autoritarie - anche autorevoli meglio sarebbe, ma ormai pare non siano nè l'uno nè l'altro - genitori in primis. La ribellione, la pretesa autonomia, sono un gioco - nel senso anche di esperimento, di prova di ciò che sarà l'età adulta e la responsabilità individuale che vi si accompagna - finché alla fine 'paga papà'. Qui invece sono assoluto mancando la controparte. Peccato però che da quanto si vede continui a 'pagare papà'. Il gioco va bene, ha pur sempre delle regole, ma l'illusione della libertà, autonomia e indipendenza senza limiti, alla ricerca della pura soddisfazione - e senza sforzo, impegno, lavoro, reale sofferenza, prezzi da pagare, responsabilità e scelte cui far fronte - dei propri desideri autisticamente concepiti (la domanda alla fine è: 'vuoi tornare?'. 'Vuoi': desiderio, niente limiti, niente realistica considerazione della situazione) è appunto... irrealistica e romantica utopia. E c'è poco da fare, da tal dimensione non se ne esce e non se ne vuole uscire: siamo endemicamente portati a raccontarci cazzate, e il cinema italiano non sfugge a questa 'legge' (a sostegno di tale ipotesi rimando, tra i tanti, a un saggio coevo al film in questione: Amato, Graziosi, Grandi illusioni. Ragionando sull'Italia, 2013).

 

Si dirà che l'amore è assoluto o comunque con la dimensione dell'assoluto ha a che fare, tanto più in età adolescenziale, e che la pellicola può esser considerata niente più che una 'favola moderna'. Sarà. Sempre di raccontarsi cazzate si tratta ma a questo punto sarebbe forse stato meglio entrarci dentro mani e piedi lasciando fuori qualsiasi intento, ammiccamento, accenno vagamente critico e contesto vagamente - supposto - realistico, che a mio avviso rovinano la favoletta e possono oltremodo irritare.

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