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Il violinista del diavolo

Regia di Bernard Rose vedi scheda film

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La recensione su Il violinista del diavolo

di lorenzodg
6 stelle

Il violinista del diavolo” (Der Teufelsgeiger, 2013) è il nono film del regista londinese Bernard Rose.

    Iconograficamente ‘semi-impossibile’ rappresentare sul grande schermo l’emozione interiore di un uomo che si sfogava con la musica e il suo strumento ‘mitizzato’ il violino, appunto. Una combinazione da ‘grandi’ cineasti quella di amalgamare spirito e corpo, leggerezze e sensi, ambienti e vite di un periodo ben preciso e far gustare al pubblico di oggi le prelibatezza di composizioni portentose e la tracimazione di note dalle corde vibranti di uno strumento unico per il genio (e la genialità) di Niccolò Paganini.
    Mestamente e languidamente il film non riesce completamente a portarti verso un crescendo finale, di suoni, musiche e atmosfere per avvincerti e portare la sensazione (volitiva) di uno schermo che apre lo spazio tridimensionale in una quarta misura arieggiamente canora di note traballanti che in un uomo s’ammala di tutto e se ne compiace di grandezza con un vivendi di donne, gioco e quant’altro per perdersi di testa (e di animo al diavolo). Una mistura di belle immagini e quadri di efficacia che di un’epoca non vogliono tradirci s’arrendono (o quasi) di fronte ad un corpo animandi del racconto poco incisivo, trattenuto, lineare e, per certi versi, sfilacciato. Un certo modo ‘ristretto’ e ‘aggrumato’ del tutto avrebbero reso la pellicola più addentro al ‘mistero’ delle corde del compositore e certamente più avvicente lo spirito di chi segue in ascolto. Perché alla fine di ‘ascolto’ si tratta, ascolto di note e di corde (anche vocali), non certamente di parole e dialoghi che, in certe fasi, restano stantie e quasi futili. Tutto l’intorno al concerto di Paganini (in senso lato) e in quel di Londra non trova una vera e propria forza: girato e montato tra uno scherzo del destino, una dormita a letto e una donna che il violinista si compiace sempre di avere in compagnia (e senza fronzoli di amarne il lato ossessivo e carnale per perdersi e disperdere le sue forze mentali e fisiche) mentre il gioco (delle carte) del casinò arriverà a far sperndere tutto qauello che di guadagno si procurava nella sua arte raffinata (la musica).
    Il regista londinese già si era cimentato nella ‘rappresentazione’ in musica classica di una pellicola cinematografica con le note (altissime) di Ludwig van Beethoven in ‘Amata immortale’ (Immortal Beloved, 1994) che ebbe detrattori della prima ora ma anche consensi per l’interpretazione superlativa di Gary Oldman nelle vesti del compositore tedesco. Qui l’attore David Garrett (alla sua vera e prima prova sul grande schermo) non riesce ad avvincerci in modo completo e il porsi non concede guizzi e modi personali (e qui la regia non ha dato il là a qualcosa di originale) nonostante il suo mondo è pieno di musica (è un compositore e violinista) e sicuramente scelto per una prova più maiuscola ma che non oltrepassa la dimensione di rara efficacia. Nella parte musicale vera e propria (con il violino in primo piano) nel concerto londinese l’attore riesce a essere se stesso e a dare il ‘gesto’ del movimento delle note con buona riuscita e far sentire lo spettatore partecipe del grande ‘afflato’ dal violino come nessuno sapeva suonare (detto il ‘violinista del diavolo’ per aver ‘venduto’ la sua anima ma durante l’esibizione uno spettatore -non qualsiasi- dice ‘suona il violino come un…dio..’).

     E l’inizio dell’ottocento ci viene presentato in stile ‘pop-rock’ dove le fanciulle si offrono senza problemi al ‘divo’ per eccellenza senza nessuna remora e dove il pagamento da ‘prostituzione’ sembra un rituale di cui il compositore non disdegna nulla. La musica come arte astratta si completa nel Paganini piacente e voglioso di bella vita (donne e tutto quello che ne consegue) fino a quando non compare Charlotte (figlia di John Watson che stravede per l’italiano) ma anche qui il diavolo ci mette lo zampino e una notte d’amore può rovinare tutto. Il Paganini che abbiamo di fronte ha i modi di un divo musicale odierno e le ragazze in prima fila che stravedono per lui fa certamente capire il linguaggio di ieri con quello di oggi (e forse di sempre). L’assalto ai suoi camerini è un’orgia senza confini (di mani, di corpi, di fuga e anche di silenzio). La malattia di Paganini viene mostrata (per poco) alla fine del film mentre il suo sguardo tiene aperto a noi il suo mondo musicale. Le didascalie finali (sulla sepoltura e il contrasto col mondo ecclesiale) sono solo aggiuntive e non danno il vero senso della vita (tutta) e della fine dei suoi giorni.

     Nonostante i difetti e alcune lungaggini, il film si può vedere senza nessuna pretesa (importante). La regia diseguale (come la sceneggiatura) trova nello stesso Bernard Rose una fotografia di buona riuscita.

            Voto: 6-.

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