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Il turno di notte lo fanno le stelle

Regia di Edoardo Ponti vedi scheda film

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La recensione su Il turno di notte lo fanno le stelle

di OGM
6 stelle

Un uomo parla ad alta voce al suo cuore. Il cuore di una donna. Una ragazza sconosciuta, morta in un incidente d’auto. La donatrice di un organo vitale. Matteo sente di vivere insieme a lei. Ogni suo gesto è condiviso, tra lui e quella presenza estranea, eppure intimamente legata al suo essere. Sono in due anche quando Matteo, una volta dimesso dall’ospedale, torna a dedicarsi alla sua grande passione: scalare le montagne. Mentre sale, continua a pensare a lei, che lo accompagna in questa impresa. Dopo il trauma della malattia e dell’intervento chirurgico, non può avere senso vincere da soli. Matteo ha bisogno di qualcuno che gli stia vicino, che testimoni il suo trionfo, che ne confermi il valore di sfida capitale, con la quale tutto può ricominciare da zero. Per questo è importante che Sonia lo segua. Quella donna non immaginata, ma viva e vera, conosciuta nel reparto di cardiologia, è la persona ideale per partecipare ed assistere al raggiungimento di quel traguardo, così concreto e duro, eppure avvolto nell’etereo lirismo di una metafora celeste: la vetta solitaria che domina il mondo, e sopra di essa il cielo punteggiato di stelle. Il culmine dell’esistenza, il limite dell’umanamente possibile. Il suggello di una battaglia che ha già lasciato, in quei due corpi, il segno di una profonda cicatrice che attraversa il petto. Matteo e Sonia sono una cosa sola, ma soltanto nel silenzioso percorso di quella ascesa, nella quale, per caso, i loro desideri convergono verso una meta comune, un significato comprensibile unicamente a chi ha dovuto fare i conti con la morte. Quando la cordata si scioglie, ognuno torna ad unirsi alla propria metà di sempre: Sonia a suo marito Mark, Matteo al fantasma a cui deve la vita. Lo scrittore Erri De Luca, nella sceneggiatura di questo cortometraggio, sceglie l’ambiente alpino come luogo  in cui la quotidianità è sospesa, sublimata nell’atmosfera rarefatta che risucchia i tanti, futili affanni, per lasciare l’anima libera e sgombra, pronta ad accogliere le verità sussurrate che viaggiano trasportate dal vento. Lassù si tace e si rimane in ascolto. Per essere attenti, bisogna anzitutto dimenticare ciò da cui si proviene. Sonia si sfila dal dito l’anello nuziale. Matteo abbandona il suo realismo di reporter di guerra per mettersi a pregare e a fantasticare, come un bambino quando viene la sera. In cima al Sella si apre una parentesi sull’infinito, che dura lo spazio di un attimo, ma è il battito d’ala che riassesta il ritmo del tempo. Bisogna restare ostinatamente vigili, anche oltre l’evidenza, per impedire che il sonno della rinuncia si impossessi dell’anima. La speranza fa il turno di notte, per stare all’erta ed impedire la resa. C’è tanta poesia nei pensieri che si affollano, tanto profondi quanto incompiuti, in questo ardente frammento di letteratura contemporanea. Le parole scritte sulla carta lasciano benefici vuoti, tra le righe, chiedendo all’immaginazione di fermarsi a meditare nel buio, distogliendo rispettosamente lo sguardo da quei delicati sprazzi di ineffabile intimità. Purtroppo, invece, sullo schermo, la regia televisiva di Edoardo Ponti ci prende un po’ rozzamente per mano, per indicarci col dito i momenti salienti e la frasi rivelatrici. E così, sotto il peso di una drammaticità usata come segnavia, l’incanto fatalmente si spezza,

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