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Anton è qui accanto

Regia di Lyubov Arkus vedi scheda film

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La recensione su Anton è qui accanto

di giovava
10 stelle

E' da molto tempo che in narrativa, a teatro e anche nel cinema si è verificata una svolta decisiva. Accanto alla fiction si è affacciata la narrazione di un'esperienza personale, non più mascherata da personaggi inventati dietro cui, fra detto e non-detto, si può leggere in filigrana la storia dell'autore. Non a caso, dopo Freud, Proust e Joyce, la semplice la narrazione di una storia inventata è andata in mille pezzi, e sulla scena ha fatto irruzione l'inconscio e il vissuto del narratore. Con tutti i limiti, certo, del raccontarsi, del "filtro" della parola e della rappresentazione, soprattutto al cinema, dove tutto avviene davanti all'occhio freddo della cinepresa. In teatro, l'antesignano è stato da noi il teatro di Pippo Delbono, in narrativa non si contano più le narrazioni di un dolore, di un passaggio di vita personale e autentico. Nella danza, per chi l'ha visto, uno spettacolo importante in sintonia con questo film è lo spettacolo "Le fumatrici di pecora" di Bertoni/Abbondanza, dove una ballerina affermata "incontra" non solo sulla scena ma nella propria vita stessa una ragazza diversamente abile. C'è un esempio significativo anche nella televisione italiana con la serie "I dieci comandamenti". Perchè si è scoperto, a tentoni ma sempre più decisamente, che narrare e narrarsi è anche autoterapia per chi lo fa e terapia per lo spettatore. Nel cinema, peraltro, è sempre esistito il documentario: ma storicamente concepito con un occhio più o meno obiettivamente distaccato. "Anton è qui accanto" compie un passo importante e decisivo, almeno per il campo dei film. Prende tre esempi universali del dolore, tre vite devastate (madre malata, padre lontano, e figlio autistico), e anzichè "distaccarsene" fa un'operazione ai limiti dell'impossibile: grazie all'immedesimazione dell'empatia, le "accoglie" nel vissuto della regista e quindi dello spettatore, e davvero Anton è qui, accanto a noi e dentro di noi. E, grazie a quel "riconoscimento" nell'altro, che è l'unica cosa che ci salva dal dolore di esistere, compie il miracolo: da strumento di mistificazione della realtà, la cinepresa in questo caso non solo riesce a restituircela in tutto il suo pathos con un pudore ammirevole, ma anche, per una volta, a modificarla, diventando terapia per gli "attori" stessi e per chi guarda. E, se per tutto il film, nelle parole di Anton, la gente fa ogni cosa ma costantemente e ripetutamente "la gente resiste", nel magnifico finale, per una volta, con in mano la cinepresa, inquadrando il cielo, per Anton e per noi tutti,"la gente vola".

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