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Non mi avete convinto

Regia di Filippo Vendemmiati vedi scheda film

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La recensione su Non mi avete convinto

di LorCio
7 stelle

Banalità delle banalità: qual è il miglior antidoto all’antipolitica dilagante? La politica. Non la buona politica, che è un concetto molto retorico ed enfatico, ma la politica vera e propria. Un esempio di cosa voglia dire aver vissuto di politica è sicuramente Pietro Ingrao, perfetto uomo del novecento: nato nel 1915 in una Ciociaria tanto vicina geograficamente quanto lontana culturalmente da Roma, convenzionale infanzia da balilla e giovinezza in clandestinità comunista, tormentato e dubbioso, segnato dalle guerre e figlio delle lotte del suo tempo.

 

Cursus honorum da (a)tipico dirigente del Partito Comunista Italiano: direttore dell’Unità, regolarmente in minoranza, vicino al gruppo eretico del Manifesto, presidente della Camera quasi per caso, dissidente pacifista. Quella che Ingrao racconta è certamente una storia di passioni totalizzanti (non solo la politica, ma anche il cinema, la famiglia, la moglie), ma soprattutto una storia di errori: l’editoriale che sosteneva l’invasione di Budapest del 1956 (vera ferita del comunismo italiano), il voto a favore dell’espulsione dei dissidenti del Manifesto, la mancanza di realismo nei confronti delle oscenità del regime (la verità è rivoluzionaria, dice citando Gramsci, ma il problema in realtà viene costantemente eluso).

 

Ma è anche un piccolo romanzo italiano con al centro un protagonista maiuscolo, che forse non finirà nei libri di storia nonostante l’innegabile statura morale (mai sfiorato da uno scandalo), la verace passione civile (memorabili i discorsi di piazza, specie quello in Piazza della Loggia dopo la strage), la quasi eroica prevalenza del dubbio in un contesto dai tratti non di rado clericali (mai criticare il partito), la simpatica necessità di essere sempre dalla parte delle minoranze che rivendicano diritti sacrosanti (i pacifisti, i lavoratori, le donne, i giovani).

 

Filippo Vendemmiati, già David di Donatello per È stato morto un ragazzo sul povero Aldrovandi, costruisce un interessante e doveroso omaggio ad un novantasettenne lucido e critico, controbilanciando le sue parole con le immagini di uno studente degli anni ottanta che ascolta alla radio un intervento di Ingrao (evidente autoritratto dell’autore: non particolarmente riuscito il legame fra le due componenti). Importante anche il contributo della sorella del politico, un’altra novantenne vivace e schietta. Didattico, pedagogico, ma con un’identità curiosa e puntellato dalle efficaci musiche dei Tetes de Bois.

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