La recensione su In fuga con il nemico

17 MARS-19 MARS 2013: LE PRINTEMPS DU CINEMA. Dal 17 marzo per tre giorni in Francia è sbocciata la “Primavera del cinema”: una stagione breve e tra l’altro funestata da maltempo diffuso, situazione che tuttavia si presenta, almeno cinematograficamente, favorevole per garantire l’afflusso di spettatori, invitati in particolare dall’irresistibile prezzo del biglietto sceso a euro 3,5 (contro gli oltre 10 abituali delle multisale) per questa breve ghiotta occasione: nulla di trascendentale per carità, ma tanto basta per riempire le sale di una Nizza che già nelle ore mattutine (si perché in Francia nessuno si vergogna a frequentare le sale la mattina, se il tempo libero glielo permette) presentava code davanti ai cinema: gente che pagando il biglietto acquistava spesso pure quello di unaltro film con inizio immediatamente successivo per garantirsi il posto. Una bell'aria insomma.

Una salubre atmosfera che denota una volta in più come un po’ di strategia ben pubblicizzata potrebbe pure da noi restituire spettatori alle nostre sale semi abbandonate.

La mia “mini” maratona cinematografica domenicale ha incluso tre film riusciti, belli o almeno interessanti: l’afgano Syngue Sabour-come pietra paziente; il franco/iberico L’artiste e son modèle; l’israelo/palestinese Zaytoun.

In quest’ultimo torniamo nel 1982. In pieno e sanguinoso conflitto israelo/palestinese un pilota della prima fazione, David,  viene colpito e nell’atterrare col paracadute preso in ostaggio dei secondi. In prigionia ha modo di conoscere un bambino sveglio di nome Fahed, a tal punto tifoso del Brasile-calcio da farsi soprannominare “Zico”.

I rapporti tra i due nascono all’insegna della peggiore delle situazioni, tanto che il militare si beccherà persino un proiettile in corpo ad opera del giovane, impulsivo e devastato dal dolore per perdita del padre, morto proprio il giorno prima sotto il fuoco dell’aviazione israeliana.

Gli imprevisti della vita portano tuttavia i due a trovare ognuno nel proprio antagonista la persona necessaria per provare ad ottenere il proprio tornaconto, ovvero il ritorno in libertà per il pilota, e per il ragazzo invece il raggiungimento della terra natia da tempo abbandonata a causa dei dissidi; laddove deporre e interrare la piccola pianta d’ulivo che il padre aveva posto a simbolo di speranza per il ritorno nei territori occupati.

Eran Riklis, regista impegnato e responsabile di titoli lodevoli per impegno civile e denuncia (“Il giardino di limoni”, “La sposa siriana”, ma pure "Il responsabile delle risorse umane") conosce bene le regole per tenere desta l’attenzione dello spettatore; sa pure molto bene come districarsi in una vicenda che non rinuncia a sprazzi di furbo sentimentalismo un po’ ruffiano ma acchiappa pubblico, ma che tuttavia dimostra pure di sapersi destreggiare con riprese molto belle come i lunghi carrelli sui bambini in corsa mentre calciano il pallone per le vie devastate di una Beirut resa spettrale da bombardamenti indiscriminati sulla folla innocente.

Una vicenda che sa commuovere e che si dipana tuttavia in una serie troppo lunga di sottofinali, ma dalla quale emerge pure, bisogna ammetterlo, la perfetta intesa dei due protagonisti, l’uno il giovane sveglio Ashraf Barhom, simpatico, profondo, espansivo come solo alla sua età si riesce ad essere, l’altro invece (Stephen Dorff) una star di blockbuster e b-movie recentemente convertita ad un cinema d’autore che dimostra ogni volta di più di appartenere alle sue corde recitative, troppo spesso offuscate in nome di produzioni più superficiali.