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Vandal

Regia di Hélier Cisterne vedi scheda film

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La recensione su Vandal

di alan smithee
8 stelle

TFF 2013 - CONCORSO - TORINO 31
"Vandal est vivant" oppure "Vandail fait son retour", pare voglia dirci o sintetizzarci Chetif, appollaiato su un tetto di una palazzina di Strasbourg con alle spalle disegnato il nome del fantomatico numero uno dei graffitari: immagine di una certa suggestione che campeggia nella locandina del notevole omonimo esordio registico di Helier Cisterne. L'adolescente difficile e caratteriale Chetif di Valence, madre francese e padre magrebino separati, viene posto in affido dagli zii materni che vivono a Strasbourg. Lassù il ragazzo viene iscritto ad una scuola per carpentieri che lo avvii ad un mestiere, ma l'ambiente rigoroso ed un po' oppressivo della casa degli zii, spingono il giovane a medjtare la fuga. Sventa ogni tentativo di depistaggio e sparizione il cugino coetaneo di Chetif, Thomas, che introduce il nuovo ospite e cugino nel mondo clandestino dei graffitari. Affascinato da quel mondo di prese di posizione e di proteste, Chetif riuscira' a venire ammesso nella banda denominata Ork, che da tempo si prefigge di scoprire chi si cela dietro il nome leggendario di Vandal, coraggioso pittore di muri e pareti più estreme di palazzi ed edifici, da tempo ricercato numero uno tra i disegnatori clandestini armati di bomboletta. Un avvistamento del misterioso individuo da parte della squadra e su segnalazione di Chetif stesso, porta il protagonista - caduto in disgrazia per una imprudenza amorosa ai danni della sicurezza della sua banda - agli altari della consideraziine. Quando tuttavia il misterioso Vandal nella fuga cade e rimane in coma, per Chetif sarà giunto il momento di andare oltre l'imbratto gratuito ed emulare con coraggio e senso di sfida, l'eroe nemmeno identificato per farne cintinuare a vivere la fama e l'abilita'. Vandal è una riuscita riflessione sulle insicurezze di una gioventù che non sa piu' da che parte rivolgersi per trovare un alleato che la sappia capire senza mortificarli o costringerli. Basta un mito locale di eroe dalla identita' sconosciuta che salta da un tetto all'altro assemblando coreografie di colori di protesta su intere facciate in bilico sull'abisso, per fare sognare a Chetif la fine di una vita di sole imposizioni e doveri e l'inizio di una stagione in cui ritrovare i propri spazi e la propria dignità di essere pensante e non solo più di ragazzo di strada avviato a lavori di faticosa manovalanza male retribuiti. Un film potente e dirompente nuovamente incentrato, dopo Club Sandwich pure lui al TFF, sul difficile rapporto da costruire tra genitori/tutori e i rispettivi discendenti che non riescono a tollerarli, a vederli rassegnati e sottomessi per un lavoro logorante e malmretribuito. Un'opera apprezzabile già solo dall'estetica, dalla direzione sicura dei protagonisti e dallo stile realistico e vitale di un nuovo "L'odio" a quasi vent'anni dall'originale premiatissimo di Kassovitz.

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