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12 anni schiavo

Regia di Steve McQueen (I) vedi scheda film

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La recensione su 12 anni schiavo

di myHusky
7 stelle

"Tell no one who i really am, if i want to survive. Well, i don't want to survive, i want to live."

Miglior film drammatico ai Golden Globe, acclamato dalla maggior parte della critica americana, 12 Years a Slave è presto diventato sinonimo di "sicurezza" e, naturalmente, di grande attesa. 
Al terzo lungometraggio, Steve McQueen (reduce dal successo dell'ultimo Shame) ha deciso di portare sul grande schermo una storia importante, capace di sedurre ed emozionare pubblico e critica. 
Capolavoro, astuta mossa commerciale o nessuna delle due?

1841, venti anni prima delle guerra di secessione. 
Siamo nella contea di Saratoga, dove vive un notevole violinista di colore, Solomon Northup, assieme alla propria famiglia: la moglie Anne e i due figli Margaret e Alonzo. 
Ingannato da due uomini che gli offrono un lavoro come musicita al di fuori della contea, Solomon viene rapito, privato dei documenti e spedito in Louisiana, dove resterà, come schiavo, fino al 1853.
Ribattezzato Platt, verrà prima venduto a William Ford e, in seguito alle tensioni con il carpentiere razzista della piantagione, John Tibeats, verrà trasferito nella piantagione di Edwin Epps. Solo dopo 12 anni, Platt/Solomon avrà la possibilità di porre fine alla sua terribile odissea, grazie all'incontro con il canadese Samuel Bass.

12 Years a Slave, con i suoi 134 minuti, è un efficace dramma al servizio di una narrazzione totalizzante, che alterna violenza, disperazione e speranza. Il buon McQueen ci racconta tutto questo in modo classico, senza scendere troppo al livello dei personaggi; vuole dirigere tutto dall'alto, cercando di giudicare il meno possibile e restituendoci, così, un racconto che cerca di spiegare tutto solo attraverso i suoi eventi e le sue immagini; e ci riesce, naturalmente. 
Ne consegue, inevitabilmente, una scarsità di punti di riflessione: tutto è in scena, nulla è lasciato fuori e il tema stesso, quello sul quale si regge tutta la pellicola, lo schiavismo, lascia poco da cui trarre spunto. Una questione, d'altronde, già trattata parecchie volte e, in questo, 12 Years a Slave non aggiunge molto.
È chiaro, però, che non siamo di fronte ad una pellicola con un intento didattico. McQueen non vuole assolutamente portarci a questo tipo di riflessione. Il regista inglese, come ho detto prima, vuole raccontarci una storia, intrattenerci con un racconto che ha la potenza di farci immergere, come un romanzo, nelle lontane (nello spazio e nel tempo) piantagioni di cotone della Louisiana. Noi, grazie allo sguardo del narratore esterno, possiamo vedere tutto e comprendere tutto, come il grande cinema americano ci ha insegnato; e questo non è poco.
Così, assistiamo alle violenze del perfido schiavista Edwin Epps (Michael Fassbender) ai danni della giovane e innocente Patsey (Lupita Nyong'o), ci immergiamo nel canto funebre per lo schiavo morto durante la raccolta del cotone o ci perdiamo nello sguardo sofferente ma ancora colmo di speranze di Solomon (Chiwetel Ejiofor). 
Peccato, però, che tutto finisca con un finale che arriva troppo in fretta, e che ha il sapore, quindi, di una conclusione un po' troppo abbozzata. 

Al di là della narrazione totalizzante, l'altro punto di forza del lungometraggio è la componente visiva. 12 Years a Slave è bello nelle sue immagini, nei suoi movimenti di macchina, nelle sue luci. 
Il primo quarto d'ora, risulta, sotto vari punti di vista la parte più ricca e visivamente potente di tutta la pellicola: l'alternanza di oggettive e semi-soggettive tra i campi, i continui flashback, i dettagli e la stupenda sequenza che, attraverso varie dissolvenze incrociate, mostra Solomon mentre affila un pezzo di legno e lo intinge nel succo di more per poter scrivere una lettera (immagini che verranno riproposte nella seconda metà del film). 
Nelle sequenze successive si da maggiormente spazio alla narrazzione, senza però rinunciare allo stile. Così possiamo notare il piano sequenza durante la vendita degli schiavi, l'uso della profondità di campo (ad esempio, nella sequenza della tentata impiccagione di Platt) e dei primi e primissimi piani sui volti scavati dal dolore dei personaggi. Il tutto accompagnato da un sapientissimo uso dell'illuminazione e da una fotografia che restituisce i colori dei campi e delle abitazioni della Louisiana.

Una parte del merito va, naturalmente, anche ad alcune ottime interpretazioni: Michael Fassbender, nel ruolo dello schiavista che si sente legittimato dalle Sacre Scritture, Lupita Nyong'o che grazie al suo sguardo riesce a raccontarci più di quanto lo possano fare mille altre storie e, naturalmente, Chiwetel Ejiofor che riece a portare dentro di sé e, di conseguenza, a mostrarci, tutte le sofferenze e le pene del suo personaggio.
Decisamente meno convincente, invece, l'interpetazione di Brad Pitt, nel ruolo di un improbabile carpentiere abolizionista. 

A conti fatti, 12 Years a Slave (per rispondere alla domanda iniziale) non è né un capolavoro né una semplice ed astuta mossa commerciale. L'ultima fatica di Steve McQueen si presenta, invece, come un buono, anzi, ottimo lavoro, che predilige una narrazzione totalizzante e lineare estremamente accurata che non vuole, però, rinunciare allo stile.
La spasmodica ricerca del capolavoro ha creato una così grande attesa che in in alcuni casi si trasformerà, inevitabilmente, in una delusione. Non è però sotto questa luce che deve essere visto e giudicato 12 Years a Slave che, invece, sarà in grado di restituire particolari soddisfazioni.

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