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Canepazzo

Regia di David Petrucci vedi scheda film

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La recensione su Canepazzo

di OGM
5 stelle

Un atipico thriller tricolore. Qualcuno ha voluto definirlo con queste parole. Non si sa se per sottolinearne l’originalità o, al contrario, per alludere ad una dissonanza di fondo tra l’ambientazione culturale e l’idea che l’autore ha voluto trasportarvi. Il trasferimento di una storia americana – la vicenda del serial killer che si firmava Crazy Dog – nella fantacronaca nostrana rivela un intento innovativo che, però, manca di slancio. E così il racconto resta bloccato in uno scenario anonimo e fuori dal tempo, nonostante i  riferimenti didascalici agli anni ottanta. Lo spirito del noir italico si riduce alla coloritura dialettale di un poliziotto romanaccio – blando emulo di Er Monnezza – che non è abbastanza ruspante da irradiare l’atmosfera con la rozza e scanzonata vivacità di Tomas Milian. Igor Maltagliati gli costruisce intorno una carrellata di personaggi non meno sbiaditi, in mezzo ai quali spicca, come unica eccezione, il breve recital teatrale di Franco Nero nelle vesti di un pittore dalla tragica indole filosofica. Il resto del film è affetto da una tristezza televisiva che stende su tutto un grigio velo di approssimazione narrativa e recitativa, adatto solo a preparare lo spettatore al temuto peggio: l’improvvisa (ed improvvisa) accelerazione verso lo scontato epilogo. Provincia, malavita, sensazionalismo giornalistico, rancori personali: gli ingredienti del romanzo giallo venato di sentimento popolare e di critica sociale ci sono proprio tutti, mescolati secondo la formula consueta: la ricetta in cui il mistero si identifica con la doppiezza di un’umanità falsamente perbenista e di vaga ispirazione espressionista, nella quale i mostri sono ovunque, e sono sempre insospettabili.  Il composto, per quanto collaudato, non possiede la verve della commedia, né la profondità del dramma, ed è una vera delusione anche per i palati meno fini, che chiederebbero, se non altro, di poter assaggiare un pizzico di suspense. Davanti all’obiettivo di David Petrucci gli eventi sfilano senza immaginazione, e, soprattutto, senza scomodare la psicologia, se si esclude il goffo tentativo di riportare il discorso alla dimensione freudiana del trauma infantile, del sogno rivelatore, delle pulsioni incontrollabili. Canepazzo ha il fascino spento di un rotocalco scadente, che si sfoglia solo per ritrovare gli accenti familiari dei vecchi fumetti polizieschi, e gli echi di scandali datati che hanno esaurito il loro effetto. Il richiamo vintage è troppo superficiale e maldestro per accendere la fiammella della nostalgia;  quel poco che riusciamo a cogliere, dell’anima dell’horror  alla Dario Argento, si perde nel tiepido languore di un film che parla distrattamente di sé e non si preoccupa minimamente di noi.  

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