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Miele

Regia di Valeria Golino vedi scheda film

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La recensione su Miele

di maghella
8 stelle

Un esordio alla regia davvero buono quello di Valeria Golino.

“Miele” è un film dal tema difficile che è stato trattato con delicatezza, intelligenza e attenzione. “Miele” è il nome in codice di Irene (Jasmine Trinca) che aiuta i malati terminali a porre fine alle proprie sofferenze. Dal Messico si procura un medicinale veterinario (proibito in Italia) che uccide in modo indolore gli animali... e anche gli uomini. Con molto tatto Miele accompagna alla morte i malati, stando accanto alle loro famiglie, tutto in modo clandestino e facendosi pagare molti soldi. Un giorno Miele riceve l'incarico di consegnare il medicinale mortale ad un anziano ingegnere (Carlo Cecchi), che però vuole essere solo nel momento del trapasso. Dopo qualche giorno Miele scopre che l'anziano ingegnere non è affatto malato ma “solo” depresso, che non volendo causare spiacevoli pettegolezzi buttandosi giù dal quinto piano, ha scelto la “morte dolce”, indolore e “incolore”.

Sconvolta da questa notizia, Irene cerca in tutti i modi di recuperare il medicinale dall'anziano, instaurando con lui uno strano e pericoloso legame.
Il film sta tutto in questo rapporto singolare che si viene a creare, un crescendo di complicità e forse affetto. Irene, si sente finalmente libera di poter esternare con l'ingegnere le proprie titubanze, le convinzioni e i segreti che comporta la sua missione, a sua volta l'ingegnere continua a vivere, toccato dal coinvolgimento emotivo che Irene ci mette nel proprio lavoro.


 

Irene mente con tutti, con il padre e gli amici che sono convinti che lei studi medicina a Padova; non ha un legame amoroso con nessuno ma un rapporto da amante con un uomo sposato con il quale condivide i segreti di un amore clandestino ma non del suo lavoro clandestino. Miele indossa abiti molto maschili quando è nel suo ruolo di “angelo della morte” ma sa essere una donna affascinante e molto seducente quando ritorna ad essere Irene, solo con l'anziano ingegnere fonde entrambe, riuscendo a tirare fuori quella che è la sua vera personalità: molto insicura e fragile, piena di un dolore mai placato per la morte della madre avvenuta 10 anni prima.



 

Il film può suscitare molte polemiche: è giusto scegliere di morire quando si è senza speranze di guarigione? Gli esempi portati dalla storia sono decisamente a favore di una risposta al positivo, nessuno vorrebbe vivere in quelle situazioni, e anche chi sta vicino a persone tanto sofferenti vede in una morte veloce e indolore la soluzione migliore, un sollievo che ridà dignità al proprio caro, queste sono considerazioni alle quali il film può portare, ma che non sono quelle alle quali la regista mira. Infatti ho avuto la sensazione che Valeria Golino (che è anche una delle tre sceneggiatrici del film) non sia “cascata” nel facile trabocchetto di costruire una storia sul tema “eutanasia sì, eutanasia no”, ma piuttosto che abbia voluto porre il quesito: “quando si desidera veramente di morire?”.



C'è un passaggio molto bello nel film (ce ne sono molti, a dire il vero), dove Miele inizia a sentirsi stanca, ad avere sempre più spesso attacchi di ansia, dove non si sente più così sicura nel compiere le proprie azioni durante la procedura con i malati, ha il bisogno di sapere se l'ingegnere è sempre vivo, se non si è ancora ucciso, in un momento di intimità quasi familiare gli confida che “nessuno vuole morire in verità, tutti sono attaccati alla vita, ma quella non è più vita”.


 

Irene e l'ingegnere arrivano entrambi ad una consapevolezza di quello che vogliono, ci arrivano grazie anche al loro incontro, e un passaggio importante di questo film è anche questo: l'importanza di incontrare qualcuno che scombussoli ogni certezza acquisita fino a quel momento, fino ad arrivare a mettere in discussione anche le cose fondamentali sulle quali non si avevano dubbi.
Gli incroci nella vita sono fatti soprattutto di incontri occasionali, e quelli che ci fanno “cadere” sono quelli che inesorabilmente ci fanno “rialzare”.


Il film è davvero bello, mai patetico, mentre una “facile” regia anche un po' più ruffiana sarebbe potuta cascare in questo tranello (ed era la mia paura), utilizza molto le scene “di sensazione”, molta importanza è data alla musica e alla descrizione dei personaggi, che risulta quasi letteraria.


Ottimi i due principali interpreti: Jasmine Trinca e Carlo Cecchi.

La Trinca che già mi aveva convinto in un ruolo impegnativo con “Un giorno devi andare”, qui riesce a costruire una donna piena di interrogativi, che si scopre man mano che il film prende corpo, il doppio ruolo Miele-Irene “l'angelo della morte” e la “studentessa di medicina”, sono una prova importante, un ruolo femminile che nel cinema italiano non sempre viene creato.


Carlo Cecchi è il mostro sacro che è, proprio come nel suo personaggio del film, non deve più dimostrare niente, solo con la sua presenza riempie la scena, dà personalità a tutto ciò che lo circonda, duro e dolce, è una calamita per Irene, che riversa in lui tutti i suoi dubbi e le sue paure che non si era mai confessata.


Il finale e qualche passaggio del film possono risultare scontati, ovvero ci si arriva facilmente alla conclusione della storia, ma questo non rovina la visione, non lascia delusi, perché (mi ripeto) il senso del film, secondo me, sta proprio nella crescita di un legame affettivo tra due persone, molto differenti tra loro per età ed esperienze, che per motivi altrettanto differenti si incontrano, e per motivi differenti troveranno le risposte che cercavano e le soluzioni, che non saranno quelle di cui erano convinti prima della reciproca conoscenza.

Davvero toccante.

 

 

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