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C'era una volta a New York

Regia di James Gray vedi scheda film

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La recensione su C'era una volta a New York

di alan smithee
8 stelle

La forza della disperazione, l'istinto di sopravvivenza e non ultimo la fede in un domani migliore e più giusto, in un mondo diverso e meno crudele contro i deboli e gli sfortunati: non possono essere che queste le motivazioni che spingono la giovane polacca Ewa (Marion Cotillard, struggente), appena sbarcata tra le nebbie di una Ellis Island che sembra piu' verosimilmente un limbo, che il paradiso di cui tutti favoleggiavano sulle banchine dei porti europei di partenza - a sopportare la sofferenza di una separazione dolorosa quanto inevitabile dalla sorella, posta in quarantena per un sospetto di tubercolosi, e non ultimo quella di non avere nessuno, a dispetto degli accordi presi da casa, che la aspetti al molo di attracco per condurla al caldo, tra un focolare domestico amico. Ecco che la giovane donna si trova costretta a cedere alle lusinche mielose, viscide e non certo disinteressate o caritatevoli di Bruno (Joaquin Phoenix grandioso), sfruttatore come tanti che la attira a sé come un ragno seducente nella sua tela inestricabile.  Un laido sfruttatore che tuttavia ritrova nel candore e nell'innocenza spavalda della giovane una capacità di percepire nuovamente dei sentimenti che riteneva sopiti per sempre. Se la via di fuga è certamente rappresentata dal bizzarro mago Orlando (Jeremy Renner, illusionista non solo per mestiere), la figura negativa di Bruno non si presenta tuttavia sempre così unilateralmente fosca agli occhi della giovane sfruttata, divenuta a tutti gli effetti una prostituta al suo servizio: una serie di rutilanti e drammatici avvenimenti movimenteranno in modo inaspettato un secondo tempo che volge al melo' dopo una lunga prima parte descrittiva e di presentazione. Film d'interni e forte di duetti attoriali molto intensi, grazie soprattutto ad un terzetto attoriale azzeccatissimo,  The immigrant riesce a lasciarsi alle spalle  l'aria inevitabilmente viziata del cinema-teatro ormai fuori tempo massimo e fuori moda, per assumere i tono lividi del colossal di vecchio stampo, dal ritmo solenne e dalla musica importante che si fonde intensamente tra le pieghe delle tragedie che coivolgono i tre personaggi principali in una staffetta amorosa dai contorni torbidi e spesso inespressi o non correttamente interpretati dai destinatari del un sentimento. Una sfumatura che mai riesce ad emergere chiara e delineata, soffocata da problematiche ancora più urgenti e vitali come quelle legate al materiale sostentamento, alla fame, al freddo. Un solido ed intenso film da un grande regista da cui forse, proprio per le elevate aspettative, tutti noi forse ci aspettavamo qualcosa di più travolgente o straniante, mentre qui troviamo tutta la materia organizzata in modo impeccabile e perfetto, ma non quel valore autoriale unico che abbiamo imparato ad aspettarci dalla sensibilità non comune di Gray. Più stimolante allora la rappresentazione quasi favolistica e sognante della Ellis Island di Crialese nel precedente Nuovomondo, dove i nuovi arrivati procedono tra i flutti di un liquido lattiginoso tiepido e ammaliante, quasi materno, embrionale, dal quale si vuole certo uscire , ma neanche con tutta la propria risolutezza, consci delle nuove incognite e probabili insidie che si nascondono oltre l'isola che li separa dal nuovo continente; piu' indelebili nella memoria visiva dello spettatore tutti quei preparativi dalla Sicilia del film del regista siciliano: con quelle foto palesemente fasulle dei smisurati raccolti ortofrutticoli americani, favolose innanzi agli occhi ingenui o maliziosi degli immigranti, per i quali l'America rappresentava davvero il miraggio della terra dell'abbondanza, mentre qui nel film di Gray mostra invece tutta la sua fredda e miserabile cupa scenografia di lotta per la sopravvivenza.

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