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The Story of Film

Regia di Mark Cousins vedi scheda film

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La recensione su The Story of Film

di ethan
10 stelle

'The Story of Film: An Odyssey' del documentarista britannico Mark Cousins è un appassionante e, a tratti, persino toccante viaggio nell'immaginifico mondo di un'arte che lo stesso autore definisce ''Una bugia per dire la verità, questa è la regia: l'arte di farci sentire come se fossimo lì''.

Si parte dalle immagini di 'Salvate il soldato Ryan' e per arrivare a quelle documentarie ambientate a Ouagadogou, nel Burkina Faso, dove campeggia un monumento-omaggio al Cinema nella Piazza dei Cineasti, in cui simbolicamente si conclude l'odissea che attraversa tre secoli, ci sono ben quindici ore di sequenze più o meno conosciute di film - circa 500 - che hanno fatto la storia non solo del cinema ma che sono anche entrati a far parte dell'immaginario collettivo.

La colossale opera è suddivisa in 15 capitoli, di un'ora ciascuno, nei quali, per epoche distinte, si analizzano le varie correnti che si sono sviluppate in giro per il globo e l'influenza che eventi storici di vasta portata, come guerre, rivoluzioni, crisi o esplosioni economiche hanno avuto sulla settima arte.

Cousins subito contrappone, nell'introduzione, un cinema fatto di soldi, azione e velocità - per intendersi il cinema hollywoodiano, comunque facendo i dovuti distinguo con i grandi autori che si sono mossi all'interno dell'Establishment - a un altro fatto di idee, cuore, pause, sorto specialmente in Europa ma anche nel cuore dell'Africa nera, piuttosto che in Iran o nel Sudamerica.

L'aproccio è didattico, ma per nulla pedante: mostrando una scena, il regista spiega, in base alla posizione della cinepresa, alla sua angolatura, alle luci, ai dialoghi, alla musica, cosa voleva trasmettere l'autore di ogni singolo film con quella determinata sequenza, breve o lunga che fosse; in alternanza agli spezzoni di centinaia di film immette brevi interviste con registi, attori, sceneggiatori, produttori, direttori della fotografia, montatori, per sottolineare sia che il risultato finale che lo spettatore vede dinnanzi ai propri occhi è il frutto di tante menti messe in contatto e in collaborazione tra loro e sia la diversa visione, idea, che ogni individuo ha di una passione che condivide con altri appartenenti al suo stesso mondo.

Vediamo sfilare - citati in ordine sparso - il cinema documentaristico degli albori dei fratelli Lumière, contrapposto a quello di Méliès - il primo inventore di trucchi ed 'effetti speciali' - le comiche di Chaplin, Keaton e Lloyd, i kolossal di D.W. Griffith, il naturalismo di von Stroheim e la nascita del cinema come industria, il divismo, il glamour, lo sviluppo del cinema in Francia, Italia, Svezia a partire dagli anni '20, i ribelli del cinema americano, la nascita del cinema africano, l'avvento del Neorealismo, i cineasti tedeschi (Herzog, Wenders, Fassbinder, Reitz ma anche la von Trotta), la fiorente cinematografia sorta ad Hong Kong per tornare poi al New American Cinema dei '60 e '70 - nell'episodio 9, tra i più belli - a maestri più appartati come l'indiano Ray o il giapponese Ozu, ricorrente in più episodi, o quello che viene definito come uno dei padri del cinema africano - Ousmane Sembène - alla francese Claire Denis, accostati ad altri geni come Kubrick, Hitchcock, Kurosawa; accanto ad autori affermati e film conosciuti va dato merito al documentarista di introdurre un buon numero di opere che, pur avendo grande importanza a livello di linguaggio e innovazioni filmiche, nemmeno conoscevo l'esistenza che varrebbe la pena riscoprire; negli ultimi tre episodi viene sottolineato un elemento che sta molto a cuore a Cousins, vale a dire il progressivo passaggio dall'era della celluloide - alla quale va palesemente il maggior apprezzamento - a quella del digitale - con il riferimento a titoli come 'Matrix' o al recentissimo 'Avatar' - con una sorta di nostalgia mista al timore che un tipo di cinema, quello fatto di idee, sviscerato nell'arco del documentario, venga surclassato da un altro, fatto più con l'ausilio di strumenti asettici come computer, telecamere digitali e Motion Capture, in cui le storie narrate sono quasi secondarie rispetto allo sfoggio della tecnica usata.

E' proprio l'anzidetta sequenza girata in Africa, con il girotondo dei registi attorno alla statua inneggiante alla pellicola, che conclude il viaggio all'insegna della speranza che la componente umana continui a prevalere.

E' un lavoro che, proprio per la durata smisurata, va 'assunto' in dosi giornaliere di un episodio ciascuno - così come è stato presentato con merito da un canale privato nel lussuoso formato in alta definizione - onde evitare un effetto dipendenza per tutti i malati di cinema che, come il sottoscritto, sono su questo sito.

Voto: 9.

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