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Holy Motors

Regia di Leos Carax vedi scheda film

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Tato88

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La recensione su Holy Motors

di Tato88
8 stelle

Chi è un genio? Per me non è colui che tira fuori dal cilindro qualcosa di nuovo, ma che riesce in maniera innovativa ed efficace a mostrarci quel cilindro sotto un nuovo punto di vista, magari dall’interno, e a ricordarci una volta per tutte che da quel cappello può uscire qualcosa.

Carax è un genio. E neanche tanto visionario come regista. Non è nella messa in scena, tutto sommato semplice e poco raffinata, che risiede la sua esclusività. E nemmeno nella sceneggiatura, episodica, divagante e giocherellona. No, bisogna risalire fino al soggetto per qualificare questo film ad un vero e proprio tocco di genio (e non una genialata).

Lo spettatore è portato a seguire passo passo una giornata lavorativa di Monsieur Oscar (Denis Lavant). L’uomo viene guidato dalla premurosa Celine per un lungo itinerario di appuntamenti parigini a bordo di una lussuosa limousine. Ogni tappa prevede un nuovo mascheramento, una nuova identità e un nuovo ruolo da interpretare (ora una vecchia barbona, ora un folletto del sottosuolo, ora un vecchio zio in punto di morte…). Ma il povero Monsieur Oscar non fa in tempo ad immedesimarsi con i nuovi personaggi (che spesso lo coinvolgono profondamente) che già deve risalire in macchina alla volta di un altro appuntamento, addolorato per non riuscire a mantenere un carattere abbastanza a lungo da poterlo definire come un’identità.

L’abilità di Carax risiede nel non cedere alla facile tentazione di inserire misteri profondi o arcanamente simbolici nei risvolti della storia, trasmettendo allo spettatore la sensazione che non vi sia nulla di più da dire di quanto non venga già mostrato. E non è la scena finale (la più surreale del film) ha dare senso a tutto come spesso accade nei film metaforici in cui il regista scaglia un bel colpo di scena e nasconde la mano, perché il senso si è insidiato in noi durante le varie interpretazione del magnifico Lavant. Al contrario il finale sembra quasi giocare con il genere bunuelliano e rifuggire in maniera divertita e divertente qualsiasi significato (in puro stile Douglas Adams) e regalare all’opera una conclusione degna e simpatica. Il film ha dunque la qualità di farsi seguire con piacere e serenità, facendo dimenticare in breve tempo la domanda/motore-dell’azione “che mestiere fa Monsieru Oscar?” per consentire invece allo spettatore di dedicarsi all’osservazione di questa occupazione che, in un breve dialogo con Michel Piccoli (un breve cammeo), risulta essere nata per passione e poi diventata in tempi più recenti un lavoro di cui il protagonista non riscontra più un’utilità in quanto non vi sono più Beholders (letteralmente: coloro che osservano).

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