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Gli occhi della notte

Regia di Terence Young vedi scheda film

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La recensione su Gli occhi della notte

di Antisistema
8 stelle

"L'eterno scontro tra immanenza e trascendenza in rigorosa unità di tempo, luogo e spazio"

 

Probabilmente la cosa più bella che possa capitare a chi recupera e visiona film che hanno una certa età, è quella di restar spiazzati da pellicole cui non si davano molte chance o comunque sia, non si pensava prima della visione di esse che potessero invece rivelarsi delle vere e proprie gemme come in questo caso.

Non è un fatto di pregiudizi, è solo che per film aventi molti anni sulle spalle a meno che essi non abbiano vinto dei premi, oppure comunque non c'è una memoria storico-critica molto forte, fa' si che ci si avvicini alla visione di queste opere con un pizzico di sufficienza. Il nome di Terrence Young non dice nulla al giorno d'oggi... in effetti non era altro che un regista di mestiere che girava su commissione e dalla carriera altalenante e con pochi film degni di essere visti al giorno d'oggi. 

A questo mestierante però in molti devono infinita riconoscenza per aver portato al cinema il mitico agente 007 James Bond, che ancora oggi dopo decenni è protagonista di un franchise che non smette di incassare e attirare nuove generazioni di spettatori. Dobbiamo a quest'anonimo regista esperto di moda e raffinatezza, l'aver trasformato un rozzo e sempliciotto scozzese come Sean Connery in una figura di composta ed elegante con buon gusto nel vestire.

Ma non é dei suoi 007 che voglio parlare (e di cui ho visto pochi film della saga non sono per niente appassionato di essi), ma dell'apice della carriera del regista; cioè Gli Occhi della Notte.

Tale film è tratto da un'opera teatrale scritta da Knott (lo sceneggiatore del film Il Delitto Perfetto di Alfred Hitchcock), che parla di una donna cieca che deve difendersi da 3 malviventi che vogliono raggirarla per recuperare una bambola contenente della droga, il problema è che la donna oltre ad essere ignara del suo contenuto, non sa' dove essa si trovi. Mel Ferrer decide di acquistare i diritti di tale opera, per farla interpretare da sua moglie; Audrey Hepburn. Ferrer non era un grande attore, ma era una persona lumgimirante nel capire che i tempi stavano cambiando in fretta e che i personaggi solitamente interpretati dalla moglie, non avevano futuro nel cinema americano e pensa così di trasformare la percezione del pubblico verso l'immagine di sua moglie e al contempo di risolvere in questo modo i problemi coniugali con la sua consorte con la quale da un po' di tempo era in rapporti tesi.

 

Audrey Hepburn, Richard Crenna, Alan Arkin

Gli occhi della notte (1967): Audrey Hepburn, Richard Crenna, Alan Arkin

 

Come regista incredibilmente viene scelto Terrence Young che veniva dal successo del quarto film di 007, ed accetta con entusiasmo tale opera. Hepburn e Young si erano casualmente incontrati durante la seconda guerra mondiale in Olanda, dove la ragazza trovò Young (che era un paracadutista dell'aviazione) ferito e siccome era un'infermiera volontaria, lo portò in ospedale per curarlo. Cito quest'episodio perché è l'unica ragione possibile (oltre ad un colpo di fortuna), per la quale un mestierante come Young abbia potuto fare un filmone del genere. Evidentemente per ringraziare la donna che ha contribuito a salvare la sua vita, ha dato fondo a tutto sé stesso ripagandola con thriller che a distanza di decenni non ha perso alcuno smalto.

 


La pellicola è ambientata al 95% in un'unica location; la casa di Suzie Hendrix (Audrey Hepburn), una non vedente che suo malgrado sarà costretta ad affrontare tre malviventi (tra cui un mefistofelico Alan Arkin e un Richard Creena che prometteva discretamente come attore prima di svendersi nei tremila e passa Rambo negli anni 80') a causa di una bambola contenente droga che si trova da qualche parte nel suo appartamento.

 

 

Chiaramente debitrice in taluni momenti di due opere di Hitchcock come La Finestra sul Cortile e Il Delitto Perfetto, più che ai film del maestro però, l'opera è molto più vicina alla tragedia greca per via in primis delle canoniche unità di tempo, luogo e azione.
Terrence Young riesce a costruire un thriller dal forte senso di oppressione e claustrofobia, tramite campi ristretti e piccoli accorgimenti tecnici che ci portano un pochino per volta nel mondo della nostra protagonista (il lavoro sul sonoro ed il suono è pazzesco), senza mai far percepire derivazione teatrale dell'opera. Tutta l'operazione è gestita infatti con un'abile perizia nella costruzione della tensione, che finirà nello sfociare in un climax finale distruttivo (altro punto di contatto con la tragedia greca). Abbiamo quindi un forte contrasto tra la realtà oggettiva dei fatti (i tre malintenzionati che hanno piena cognizione della realtà, con lo spettatore che ovviamente essendo un vedente, percepisce la realtà come loro, sino a lasciarsi anch'egli ingannare); e il relativismo conoscitivo della nostra protagonista non vedente, la quale è vero che ha un grande handicap, ma vive in perfetta simbiosi con l'ambiente e percepisce ogni piccola cosa che le avviene intorno.

 

Alan Arkin

Gli occhi della notte (1967): Alan Arkin

 

Una pellicola che affronta in modo intelligente la malattia (cecità) della protagonista senza concedere alcun patetismo forzato verso di lei. La malattia sia ben chiaro è presente ed in primo piano, ma non è mai elevata a protagonista come erroneamente fanno molti film ruffiani odierni con tale argomento. In molti si scordano una cosa importante; cioè che la malattia è subita da una persona, la quale però ha un suo risvolto umano e sociale visto che vive in un mondo fatto di relazioni con il prossimo.

Molti film odierni ci negano questo ritratto subordinando il malato alla malattia, ma Terrence Young non cade in quest'errore dando spessore umano e credibilità psicologica ad una protagonista che altrimenti sarebbe identificata solo per la sua cecità e non in quanto persona.
In tutto questo percorso c'è da dire che la prestazione di Audrey Hepburn è magistrale e la più difficile della sua carriera (ma non la migliore, in Due per la Strada di Donen e in Storia di una Monaca di Zinnemann era superiore) tanto da aver frequentato per un mese la scuola per ciechi. Il grande John Huston durante le riprese del film la Regine d'Africa, disse che tra una grande attore ed un divo vi era una differenza. Quest'ultima categoria infatti è riservata ad attori/attrici di un livello superiore, che con la propria presenza, riescono a dare al film un valore aggiunto; colmando anche degli errori o forzature di scrittura presenti nel film.
Audrey Hepburn era una diva (o la diva-anti-diva) a tutti gli effetti ed infatti pur interpretando una donna cieca; recita con una naturalezza tale da sembrare risulti cieca da sempre e quindi dopo una ventina di minuti, neanche ci fai più caso. Una perfomance calibrata, sofferta da parte di una ragazza fragile, emotiva ma capace di non andare mai sopra le righe come sarebbe stato facile fare per sfociare in un arruffianamento dello spettatore, atto a suscitare compassione (anzi c'è da dire che nel film sia il marito che la bambina vicina di casa, la trattano come se fosse perfettamente normale e per questo lei ne è risentita).

Abbiamo il profilo di una disabile si intelligente ma inizialmente fragile, incline alla paura, insicura e anche irascibile poichè "non si è ancora abituata ad un mondo di tenebre".

 

Alan Arkin

Gli occhi della notte (1967): Alan Arkin

 

In modo inconsueto per dei thriller di genere come questo, abbiamo una protagonista che si evolve nel corso della pellicola e in un momento in cui è nel più profondo abisso della disperazione, riesce a trovare immanentemente la forza per poter affrontare i tre criminali, collegando e componendo il puzzle di tutto ciò che le è avvenuto intorno e scoprire l'inganno.

Se prima la tensione era stata seminata e gestita in modo sapiente, il regista la fa' esplodere alla grande negli ultimi 20 minuti; e così passiamo da un ottimo film con derivazioni Hitchockiane, all'originalità che riesce a rendere questo film un qualcosa di mai visto sino ad allora. Suzie Hendrix ci porta nel suo mondo fatto di tenebre ed oscurità totale; dove lei è in vantaggio e gli altri hanno l'handicap. Questa maturazione è esemplificata da una frase della protagonista, che alla minaccia di Mike, uno dei tre criminale, risponde "Ma come no; io faccio quello che voglio"; come dire... questo è il mio mondo e qua comando io.
Terrence Young negli ultimi 10 minuti compie una riflessione interessante; se il sonoro ha invaso il cinema riducendo spazio all'immagine, egli invece compie l'operazione inversa, elimina l'immagine e riduce tutto a suono. Ci sentiamo spaesati e senza alcun punto di riferimento; cechi ed impotenti nonostante non abbiamo alcun handicap; ma tutto questo perchè non abbiamo mai affinato altra capacità che non sia quella di vedere. Auspichiamo quindi una luce (che ribaltando ogni concezione iconografica, in questo caso sancirebbe la sconfitta per la nostra protagonista) che possa darci quanto meno un riferimento temporaneo.

Onore al merito và dato anche al grande direttore della fotografia Charles Lang (forse è un altro dei motivi per cui Young è riuscito a fare un film di questa portata), che riesce a creare un'atmosfera plumbea, soffocante ed opprimente, dimostrando poi nel finale tutte le sue notevoli doti in materia con un lavoro fotografico pazzesco, mettendo in scena l'eterno scontro tra immanenza e trascendenza in modo sbalorditivo.

 

Audrey Hepburn

Gli occhi della notte (1967): Audrey Hepburn

 

Segnalo un inedito Richard Crenna, il quale incredibile a dirsi, riesce a non farsi oscurare dalla mostruosa perfomance della sua partner recitativa con la quale condivide gran parte del suo screentime. Sara' che a recitare con Audrey Hepburn qualcosa impari, ma la sua è una perfomance trattenuta, calibrata e che riesce a dare molte sottili sfumature umane al suo personaggio. Di notevole interesse è il perfido personaggio di Roat, un individuo mefistofelico interpretato da un giovanissimo Alan Arkin (un casting molto difficile perché nessuno voleva questo ruolo odioso). Un essere di pura e viscida malvagità che altro non é che l'incarnazione di tutto il marcio presente nella società americana. Peccato non abbia ricevuto alcuna nomination quell'anno... anche se lo stesso Alan Arkin disse divertito in un'intervista che non potevi avere possibilità di essere nominato se facevi del male ad Audrey Hepburn. In effetti lo scontro tra i due protagonisti è un qualcosa di stridente ed insopportabile; è assolutamente inconcepibile far del male ad una donna cieca e per di più interpretata da una delle attrici più dolci ed adorabili di sempre.

 

Audrey Hepburn, Alan Arkin

Gli occhi della notte (1967): Audrey Hepburn, Alan Arkin

 

In sostanza che dire su questo film... è un perfetto thriller di genere che e' anche uno dei primissimi home-invasion, facendo scuola per i tanti epigoni succesivi (in primis Terrore Cieco di Fleisher del 1971). All'epoca incassò molto (oltre 17 milioni... più di altri film dell'attrice più celebrati come Colazione da Tiffany o Sciarada), attirando una marea di giovani spettatrici che si indentificarono in questa Suzie Hendrix. Non è un titolo che la storia del cinema ricorderà (anche eprchè i critici ufficiali snobbano i film di genere), ma è un perfetto esempio di come da un film di genere si possano trarre dei grandi prodotti che sono tutto tranne che sciatti o fatti con pressappochismo.

Voglio però far presente delle cose; il regista e lo sceneggiatore se ne fregano in modo assoluto della verosimiglianza della vicenda (come d'altronde faceva Hitchock con i suoi thriller). Il film ha in effetti dei buchi che si fanno fatica a spiegare, come ad esempio il mancato sfruttamento del telefono della bambina del piano di sopra che avrebbe sbrogliato la matassa. Certo, si può spiegare con il fatto che la nostra protagonista è una persona che seppur intelligente, risulta molto emotiva e quindi soggetta all'errore (e ne commette di scemenze); ma in effetti non è cinematograficamente il massimo. Sta a voi stabilire se sono più importanti le esperienze visive ed una parte finale meta-cinematografica che pone interessanti riflessioni, oppure la solita sceneggiatura con zero buchi al servizio di un thrilleruncolo anonimo.

Negli USA ancora oggi è ben considerato dal pubblico e dalla critica con Roger Ebert gli dà 3.5 stelline (nella sua recensione ha un'accesa questione con la porta dell'appartamento... ognuno ha i suoi tic). Da noi é un film largamente sottovalutato e dimenticato (come se Hitchcock ed i suoi thriller fossero passati per nulla), Mereghetti gli dà 2.5 stelline e Morandini 3 stelline.

Audrey Hepburn conquisterà la sua quinta e ultima nomination agli Oscar (al giorno d'oggi avrebbe vinto in scioltezza senza problemi vista la paraculagine dell'academy verso chi interpreta ruoli con handicap). Una maxi-rosicata al tavolino da parte del sottoscritto, perché tale attrice praticamente s'è ritirata dal cinema a soli 37 anni all'apice della propria fama dopo tale film... nella New Hollywood non avrebbe per nulla sfigurato. Divorzierà da Ferrer (per inciso, ragazzo mio avevi trovato qualcosa che sapevi fare; il produttore!) poco dopo e successivamente avrà un secondo matrimonio altrettanto fallimentare e riuscirà a trovare finalmente una propria realizzazione come persona svolgendo egreggiamente il ruolo di ambasciatrice dell'UNICEF, sino alla sua prematura morte a soli 63 anni, a causa di un maledetto cancro che ce l'ha portata via. Le interpretazioni che ci ha lasciato dal 1953 al 1967 sono una delle più grandi eredità interpretative e di personaggi memorabili.

Terrence Young come prosciugato da questa fatica, ritornerà mestamente a girare per lo più filmetti di poco conto su commissione sino alla sua morte nel 1994.

 

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