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Turn Me On, Goddammit

Regia di Jannicke Systad Jacobsen vedi scheda film

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La recensione su Turn Me On, Goddammit

di OGM
6 stelle

Piccolo film norvegese, femminile e adolescenziale. La quindicenne Alma  Solheimslid vive in un villaggio sperduto chiamato Skoddeheimen. Come tutte le sue coetanee, non vede l’ora di andarsene da lì, per trasferirsi in una grande città.  Il principale problema di Alma sono però le sue irrefrenabili fantasie sessuali, che la sorprendono all’improvviso, in ogni momento della giornata, confondendosi con la realtà. La ragazzina non può fare a meno di vivere col pensiero le esperienze che in quel luogo deprimente le sono negate; ma in questo modo si guadagna la fama di povera pazza e viene esclusa dal gruppo. I suoi giochi erotici, praticati con la mente, danno sfogo a perversioni involontariamente comiche, che sanno di romanzo rosa e di film sentimentale,  e sono sempre ingenuamente associate all’idea dell’incontro fatale. La sua goffa ribellione alla noia è una visionarietà grottesca, che sovrappone allo squallore di un desolante ambiente paesano il gusto un po’ kitsch dell’ammiccamento lascivo, accentuandone il carattere smisuratamente provinciale. Alma non sogna principi azzurri, bensì audaci e spudorati seduttori, uomini e donne intraprendenti che vogliano sfidare la pietosa ripetitività di una vita divisa tra la casa ai margini del bosco, il minimarket alimentare e la panchina alla fermata della corriera. Un mondo al quale Alma si sente in dovere di alzare il dito medio ogniqualvolta ne varca i confini  ritornando da scuola. E che ai suoi occhi sembra popolato di alienati e di vigliacchi, presi dalle loro assurde manie (vedi la sua amica che si passa e ripassa, in maniera ossessiva, il lucidalabbra, o la vicina che la spia dalla finestra) ed assolutamente incapaci di fare autocritica e guardare oltre quel ristrettissimo orizzonte. Viaggiare con l’immaginazione, costruendo mondi alternativi, in cui qualcuno finalmente dimostra di saper osare, sembra l’unica via di fuga da un incantesimo che blocca i desideri e obnubila i sensi. Montagne, strada vuota, un’altra strada vuota, strada vuota con trattore, cassette della posta, casa con antenna parabolica, stupide pecore, stupide balle di fieno, ... recita, nell’incipit del film, una voce fuori campo. In quel posto tutte le voglie sono come morte. Solo Alma continua a coltivarle, in maniera selvaggia e imprevedibile, fra l’incomprensione generale. Nella sua anima resiste e prospera la natura viva, che gli altri paiono aver dimenticato, sostituendola con artificiosi surrogati dei bisogni primordiali, come le sigarette di hashish di Kjartan o la passione di Saralou per i condannati a morte detenuti nelle prigioni del Texas. Tutti si trincerano dietro il paravento di un sogno che non hanno il coraggio di realizzare: Saralou accumula in un cassetto le lettere che vorrebbe spedire ai carcerati, perché, come Artur, la madre di Alma e tanti altri, ha paura di confrontarsi con le proprie emozioni, soprattutto quelle forti ed inspiegabili che sgorgano dal cuore aggirando la ragione. La regista Jannicke Systad Jacobsen, qui al suo primo lungometraggio a soggetto, trae da un romanzo di Olaug Nilssen lo spunto per   un curioso apologo contro l’ipocrisia e la mancanza di libertà: una storiella irriverente ma graziosa, mordace ma sensibile,  in cui la tempesta ormonale della pubertà è il ciclone in grado di sconvolgere un’umanità addormentata dall’abitudine a starsene pigramente in disparte.  

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