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Venuto al mondo

Regia di Sergio Castellitto vedi scheda film

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La recensione su Venuto al mondo

di mc 5
4 stelle

Premessa. Qualunque tipo di ironia dovessi fare in questo mio commento cercherò di non offendere la sensibilità di chi è rimasto "toccato" da questo film la cui visione si è rivelata invece per il sottoscritto un'autentica sofferenza. Sì, perchè io ritengo che si possa affrontare quest'esperienza adottando due spiriti assai diversi. C'è chi prende maledettamente sul serio questo viaggio nel dolore e dunque rimane intimamente turbato dalla sequela di eventi negativi che si dipanano sulla base di una sceneggiatura dolente e malinconica che è poi l'adattamento di un romanzo scritto da Margaret Mazzantini, notoriamente consorte del regista Castellitto. E suppongo che questa visuale rispecchi la maggioranza visto l'andamento formidabile della pellicola ai botteghini. Io, all'opposto, credo che ci sia un limite a tutto, e che questa soglia sia stata qui superata. E intendo la soglia del ragionevole dubbio nel rivestire un film di tale potente dose di retorica melodrammatica, una quantità di efferate e maldestre incursioni nel luogo comune e nei facili accessi al dolore in ogni suo risvolto psicologico tale da ammazzare un cavallo. Castellitto ci mostra un viaggio a ritroso nel dolore di una donna cui la vita non ha riservato grande fortuna, farcendo tale percorso di volti e situazioni spesso insopportabilmente gravati di una retorica che qualche volta sconfina nell'umorismo involontario. Resta tuttavia in me un dubbio. Non avendo letto il libro della signora Mazzantini, non so dire in che misura cotanta zavorra melodrammatica sia da addebitare alla stessa autrice e in quale invece sia attribuibile all'impostazione registica del suo autorevole marito. Anche se il mio intuito mi porterebbe a dividere equamente a metà la responsabilità di questo esito sciagurato. Quando un cineasta opera una scelta melodrammatica così enfatica, solitamente trova una vasta platea disposta a recepirne il messaggio; si tratta in buona parte di quel pubblico che un mio amico definisce (con amabile ed efficace ironia) le "signore con borsetta". E aggiungo che, nel buio della sala, io percepivo l'accelerazione dei battiti del cuore delle numerose "signore con borsetta" presenti e frementi. Mentre io mi stavo esasperando per quello sfrontato spiegamento di espedienti emotivi da parte del nostro regista progressista (oserei dire veltroniano). D'altra parte la signora Mazzantini, pur non conoscendone l'opera, mi risulta essere nota nei salotti letterari proprio come specialista in drammoni sentimentali, storie di dolore, redenzione, riscatto. La vicenda ci presenta Gemma, una signora che -a Roma- è sposata ad un ufficiale dei carabinieri ed ha un figlio presumibilmente ventenne. Gemma, per uno di quei casi che accadono nella vita, è costretta ad una resa dei conti con un passato colmo di dolore, una passato irrisolto, ricco di risvolti mai chiariti in cui si agitano personaggi, come fantasmi che adesso ritornano: un giovane irrequieto amante americano, un figlio dalle origini misteriose, una giovane donna scomparsa nel nulla e un poeta bosnìaco che ha sempre affrontato la vita a sberleffi. Il viaggio a ritroso nel dolore è insieme metaforico e reale, sullo sfondo di una Sarajevo visitata su tre diversi piani temporali. Gemma ritrova quasi tutte le figure di quel tragico passato e finalmente ne risolve i lati oscuri e più nascosti, il che le costerà tanta sofferenza ma la aiuterà a completare un percorso di liberazione necessario e benefico. Già la storia si presta (grazie alla fertile creatività -lo dico con qualche ironìa- della signora Mazzantini) ad una impostazione melodrammatica, ma in questo senso diciamo pure che il marito della suddetta autrice ci mette del suo, e parecchio, troppo per i miei gusti. Prima di affrontare il discorso di un discutibile cast, ci tengo a sottolineare l'inopportunità di una colonna sonora invadente ed insopportabilmente retorica, davvero fastidiosa. Il cast. Devo premettere che Penelope Cruz (quasi da oscar!) ci offre una performance clamorosa, da applausi a scena aperta, e però la sua magnifica prova è la sola cosa che si salva del film. Il resto, a livello attoriale, somiglia ad una farsa. I personaggi sono scritti in modo pessimo, con caratterizzazioni infarcite di frasi assurde, qualcuna talmente retorica da rasentare l'oscenità. C'è un Emile Hirsch anfetaminico, che non fa che spalancare gli occhi e saltellare gesticolando come in preda a sconsiderati attacchi di overacting. Adnan Haskovic che impersona Gojko, il poeta bohemien, è di un comico involontario e ci tocca pure sorbirci alcuni dei suoi versi, che sono francamente vomitevoli. Memorabile lo sconcerto di una scena in cui Jane Birkin (sì, proprio lei!) dice, con postura da romanzo Harmony, "Che sapore ha la verità?", al che mi sarebbe venuto da risponderle con un'altra domanda: "Jane, ma chi te l'ha fatto fare questo cammeo assurdo e vergognoso?". E infine tale Sadet Isil Askoy che interpreta la povera Aska, violentata metaforicamente oltre che nella carne: costei è attrice di una bellezza che toglie il fiato...peccato solo che nella prima parte essa sembri una top model travestita da punk girl mentre, dopo la tragedia, faccia pensare ad una top model cui hanno praticato l'elettrochoc. Quanto poi al figlio dei signori Castellitto-Mazzantini, preferirei stendere un velo pietoso: non ci sono parole per descrivere questo elemento che pare paracadutato nel mondo del cinema direttamente da un baretto di Trastevere. Una sola frase per concludere. Castellitto, ripìgliati.


Voto: 4

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