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Pariah

Regia di Dee Rees vedi scheda film

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La recensione su Pariah

di OGM
8 stelle

Paria è un sentimento innominabile, che non ha posto nella società. È un istinto che costruisce relazioni impossibili da rendere ufficiali, o anche solo pubbliche. Alike si fa chiamare Lee, un nome corto e privo di genere, che identifica un individuo, ma non ne definisce la natura. Quell’unica sillaba asessuata mantiene un’ambiguità che impedisce di classificare chi ne è portatore nelle semplicistiche categorie della normalità. Alike è una ragazza di colore, appartenente ad una famiglia che si è costruita una dignità sociale ed economica attraverso il rigore ed il sacrificio. Per i suoi genitori – e soprattutto per sua madre, che è cattolica praticante – è perfettamente chiaro ciò che è bene e ciò che è male, perché Dio non commette errori. La ragione sta da una parte sola, quella da cui è sempre stata, dalla creazione dell’universo in poi. Non si può essere una cosa e desiderare di essere il suo contrario, nascere donna ma vestire panni maschili, e non sentirsi attratte dagli uomini. L’appartenenza è una questione non si sa se di ordine più genetico o più morale, ma, in ogni caso, è impressa nella forma della carne con un timbro divino. Se, a questa predestinazione, ci si vuole sottrarre, bisogna agire di nascosto, accettando la diffidenza, e magari anche il disprezzo, con cui la gente comune accoglie l’elemento stravagante, che non rispetta le regole, perché sicuramente è un soggetto malato e perverso. Per la giovane protagonista di questo film, che ha solo diciassette anni e va ancora a scuola, la verità dell’essere è relegata nella sofferta dimensione della clandestinità, del cambio d’abito in un bagno lontano dagli occhi materni, delle serate dedicate ad attività ben diverse rispetto al cinema o al ballo di inizio anno scolastico. Quando ci si sente anomali, e ciò fa paura, bisogna frequentare i propri simili, per poter capire chi si è realmente, e per ricevere un aiuto nello sviluppo della  propria personalità. Alike, fuggendo da casa per recarsi nei locali per lesbiche, cerca, semplicemente, un nido dove poter compiere la parte finale, e la più importante, della sua crescita: quella che le farà mettere le ali e le insegnerà a volare, anche col vento contrario. Negli ambienti proibiti scopre il coraggio si essere se stessa, uguale a tante altre donne da cui potrebbe essere amata nel modo che spontaneamente desidera. Laura, la sua amica del cuore, la introduce in un mondo alternativo, che è underground solo perché costretto a rifugiarsi nel buio. Il suo aspetto esteriore è un chiaroscuro fatto di ombre e luci al neon, ed accompagnato dal suono cupo dello slang dei bassifondi, da accenti reietti che diventano una impertinente ed appassionata forma di melodia popolare. Il pathos è dolore,  giusto o ingiusto che sia, che rompe il guscio per uscire alla luce del sole, o anche solo per ritagliarsi una finestra sugli spazi aperti della libertà. È la voglia disperata di evadere dalla prigione della falsità, per acquisire piena coscienza delle situazioni in cui l’esistenza ci pone. La farfalla che, in una poesia scritta da Alike, abbandona il bozzolo per iniziare la sua vera vita, non è soltanto lei, che riesce infine a trovare il coraggio di fare coming out, di lasciare la famiglia d’origine per andare a studiare lontano, in un luogo in cui potrà coltivare il suo talento letterario. Quella farfalla è anche sua madre, che, infine, prende atto della crisi del suo matrimonio e della sconfitta del suo modello educativo. Anche il suo ripiegamento sull’evidenza ha il nobile tenore di una conquista.   In questa storia abbondano la menzogna e l’insicurezza, che turbano costantemente il quadro, con un moto ondoso che fa perdere l’orientamento e intorbida le acque. Il ritratto della realtà segue un vagabondaggio discontinuo, che procede cogliendo qua e là gli attimi in cui il vero e il falso si fronteggiano sullo sfondo del pregiudizio. Una madre ha comprato alla figlia una camicia rosa, da abbinare ad una gonna, per andare a messa la domenica mattina. Un uomo, in un negozio di liquori, rivolge battute da caserma ad una ragazza che porta un giubbotto, una camicia a quadri ed un cappellino con visiera. Le vie del rifiuto e della discriminazione sono infinite. Sono gentili, oppure volgari, sottintese oppure sfacciate, perché sono così diffuse da abbracciare l’intero spettro dei caratteri umani. Formano una varietà sterminata, che impazzisce come un turbine intorno a quel temibile abisso che si chiama diversità, e che questo film guarda da dentro, dove ci sente tanto soli, mentre tutto il resto, intorno, sembra in preda ad una inspiegabile isteria.

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