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Isole

Regia di Stefano Chiantini vedi scheda film

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La recensione su Isole

di OGM
8 stelle

Le isole sono le nostre frontiere sul nulla. Lidi appartati, ma non per questo protetti dalle insidie dell’infelicità. Laggiù è facile che la spirale della vita prenda a girare vorticosamente, oppure, al contrario, si arresti del tutto, arenandosi in una terra polverosa che si sgretola senza mai cambiare. Quel vuoto, però, fa bene alle anime perse. Il paesaggio è invaso da una solare tristezza, appena mitigata dall’affaccio sul mare, che, tra  l’approdo di una traghetto e la partenza di una barca, dona una breve illusione di assoluto.  Martina e Ivan sono soli al mondo. Provengono da luoghi del tempo e dello spazio che preferiscono dimenticare, ed entrambi cercano, ove possibile, un territorio straniero, magari non del tutto ospitale, in cui ricominciare daccapo. Dimenticando il passato, come quella ragazza diventata muta in seguito ad un immenso dolore, oppure provando a costruire il futuro, come quell’uomo dei  Balcani che sogna di tornare a casa ricco facendo il muratore. O, ancora, tentando di dare un senso ad un difficile presente, come don Enzo, il sacerdote che, a causa di una paresi, non può più dire messa. Soltanto sua sorella Mina è convinta che il tempo vada fermato, che ogni sfida lanciata contro l’immobilità sia pericolosa e apportatrice di rovina. Il film di Stefano Chiantini inizia dove le utopie smarriscono la strada, e decidono  di sostare per riflettere sull’assenza di speranza. Si può continuare a vivere in un’attesa che è vigile non perché fiduciosa riguardo al domani, ma perché determinata a non permettere che  alcun attimo passi invano. Questa storia, pur nella desolata inconsistenza dello scenario,  è densa di attenzione. Nulla sfugge alla sensibilità dei suoi protagonisti, dal gusto un po’ bizzarro  di una zuppa di verdure e zucchero, alla possibilità di sistemare un tappo con la mano paralizzata, fino all’improbabile occasione di rinascere ed amare, a dispetto della logica e dei pregiudizi. Ognuna di quelle “isole” umane è un concentrato di energia morale, che crede nelle opportunità nascoste, resistenti ai colpi della sorte, e visibili a pochi. La disgrazia è feconda di idee, di fantasie che, nell’aria rarefatta, riescono a alto, senza incontrare altro attrito che quello dell’ottuso richiamo alla realtà vigente. La vastità deserta, che replica agli affanni generando disperazione, offre la sua impalpabilità come una morbida carezza a chi, docilmente, sceglie di volerle bene, accettandola come un dolce e silenzioso rifugio, accogliente per il pensiero come per la sua sospensione, per la volontà  come per  il suo umile sfumare nella rinuncia. Le isole sono circondate da domande irrisolte, che il viavai dei flutti ripropone all’infinito.  Le risposte sono le singolarità che si inseriscono, da eccentriche intruse, nel loro ritmo sempre uguale. Nascono da dentro, affondando le radici nello scoglio, e non si lasciano portare via dalla corrente. 

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