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De bon matin

Regia di Jean-Marc Moutout vedi scheda film

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La recensione su De bon matin

di OGM
6 stelle

Con il suo connazionale e (quasi) coetaneo François Ozon, Jean-Marc Moutout ha, biograficamente, un altro punto in comune: i due registi francesi si sono infatti divisi, nel 1996, il primo premio al Festival Europeo dei Cortometraggi di Brest, rispettivamente con Une robe d'été e Tout doit disparaître. Ed entrambi hanno dedicato il loro cinema alla polemica contro l'establishment politico e sociale, il primo attaccando, con provocatoria ironia, i costumi dell'ambiente borghese, il secondo puntando il dito contro le regole del mondo imprenditoriale. Dopo Violence des échanges en milieu tempéré (2003), candidato al César come miglior lungometraggio d'esordio, Moutout torna a raccontare la crudeltà nascosta negli uffici di una grande società finanziaria. La disumanità delle leggi del mercato si ripercuote, in questo caso, su Paul Wertret, dirigente della banca BIFC, che, entro un breve lasso di tempo, si vede trasferito, svalutato, accantonato da suoi superiori, che licenziano anche due dei suoi più fidi collaboratori, scaricando su di lui parte della responsabilità. L'epilogo, anticipato nella premessa del film, è un duplice omicidio, che Paul improvvisamente commette, una mattina, non appena giunge sul posto di lavoro. La storia è già vista: nella dinamica del tragico evento ricorda  He Was a Quiet Man (2007), nel dramma di sottofondo L'emploi du temps (2001), nell'evoluzione all'interno dell'azienda gli innumerevoli film sul mobbing, sulla competizione tra colleghi, sulla cinica gestione delle risorse umane. Quest'opera non aggiunge nulla di nuovo ad un filone cinematografico già abbondantemente sfruttato ed alimentato dalla cronaca. A distinguerla è soltanto l'esemplare interpretazione di Jean-Pierre Darroussin, che Moutout piazza al centro della scena innestando, sul placido anonimato della sua figura, una lunga scia di mutevoli stati d'animo ed un variegato spettro di ruoli da recitare all'interno di quel grottesco teatro che è la global economy. Paul soffre, combatte, incassa e sospira, diluendo il suo rifiuto ad arrendersi lungo una travagliata successione di momenti dal colore cangiante, in cui l'unica costante è il profondo senso di frustrazione. Il tono è tiepido, forse perché la concitazione del dramma è incompatibile con lo squallore della normalità; però, a risollevare il tenore di una trattazione così languidamente adagiata sull'ordinarietà, non interviene, purtroppo, l'originalità dell'analisi. De bon matin vive troppo nella realtà di tutti i giorni, credendo di potersi cibare della sua insipida sostanza: un amalgama incolore di avversità irrimediabili e di incomprensibili rivolgimenti. Questa è la faccia un po' così con cui le disgrazie e le ingiustizie si presentano alla gente comune: ma forse, prima di portarla sullo schermo, sarebbe meglio ravvivarla, artisticamente, con un qualche tocco di belletto.


 

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