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Mouth to mouth

Regia di Alison Murray vedi scheda film

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La recensione su Mouth to mouth

di M Valdemar
6 stelle

Ellen Page "esisteva" già prima di Juno, che la rese popolare in tutto il mondo.
Un oggetto misterioso, strano questo Mouth to mouth, diretto e sceneggiato dalla semisconosciuta Alison Murray (per lei all'attivo documentari e corti), e prodotto da Atom Egoyan.
La protagonista, Sherry, è la classica ragazzina ribelle senza causa, - di quelli che ne è piena la storia del cinema ma anche della letteratura - atteggiamento passivo-aggressivo e look punk stradaiolo, da arrabbiata perenne. La prima scena ce la mostra con indosso la divisa della scuola, mentre osserva noiosamente alcune compagne, da lontano e da sola, come se quelle fossero quanto di più distante dal suo modo di fare, di essere. All’improvviso appare una voce (e un volto in primissimo piano) a dare forma e risposta ai suoi pensieri negativi:
"Non pensi che la vita offre più di quanto hai visto finora? Noi offriamo un'alternativa alle stronzate di massa".
Loro
sono gli S.P.A.R.K., come scritto sul volantino che lo sconosciuto porge a Sherry, la quale viene invitata a dare un’occhiata. Chi sono? Cosa rappresentano? - forse una speranza, una possibilità di trovare il proprio posto - pensa probabilmente la ragazza quando li conosce, li vede all’opera, intenti a fare una dimostrazione di come comportarsi per salvare chi ha avuto un'overdose, tra respirazione bocca a bocca (mouth to mouth) e medicinali (il naloxon). Finché compare il leader, Harry, sempre a torso nudo, che affascina tutti i presenti con il suo discorso, rivolto a disperati, drogati, solitari, sbandati:
"Vogliamo dare ai giovani senza tetto un corso di autodifesa intellettuale. Così non verrete presi in giro dai vostri insegnanti, dai vostri genitori, dai poliziotti e dalle loro stronzate".
L'intervento, estremamente affabulatorio, continua entrando in territori che ricordano il celebre monologo di Trainspotting ("scegliete la vita") fino a raggiungere il culmine della "conquista" nel momento in cui parla del doloro, di quel dolore che tutti loro conoscono e condividono.
Sherry è definitivamente convinta, entra nel gruppo, forse ha imboccato la strada giusta, e trovato una famiglia, vera. L’allegra e varia combriccola ha natura nomade, si sposta su furgoni capienti e scassati, ed i suoi componenti si dedicano all’elemosina per strada, raccattano il cibo nei bidoni dell’immondizia, s’ubriacano, si sballano ai rave.
Il primo campanello d’allarme per Sherry, ribattezzata Bat, suona quando il più giovane della banda, Manson, nel tentativo stupido di saltare dentro l’ennesimo bidone, muore trafitto ad un’arteria. E non sarà l’unica dipartita. L’impaurita reazione degli altri, subito sedata e deviata dall’indiscusso capo Harry, inizia a far emergere la reale natura di quest’ultimo, la sua autorità che sfocia in autoritarismo. Dopo aver partecipato ad un festival techno, in cui appare la preoccupata madre di Sherry (con cui aveva parlato al telefono, trasgredendo le “regole“) alla ricerca della figlia, si stabiliscono in un vigneto in Portogallo. I tentennamenti della giovane, sempre più confusa riguardo la posizione di Harry come della propria, diventano aperta ostilità: sia quando, attratta - come tutte le altre donne del branco - da Harry, ha con lui un veloce rapporto sessuale che lo stesso usa poi meschinamente per punirla; sia quando alla dimora fa la sua comparsa la madre, Rose. Che diviene presenza centrale, perché, se in un primo momento cerca di portare via la figlia con sé, poi rimane anch’ella sedotta dal leader e dal gruppo, rinunciando alla sua casa ed intenzionata a rimanere lì.
In questa scelta, assurda, si comprende il disagio di Sherry, una madre più immatura di lei, una figura paterna dispotica e violenta. Non resta che scappare, ancora.
Come detto, Mouth to mouth è una strana "creatura", indipendente, sceglie appositamente toni e registri realistici ed effettistici, ritmati da una colonna sonora onnipresente e molto efficace, che contiene dei bellissimi pezzi di Azure Ray, Nick Cave, Noir Desir, Maximilian Hecker e Joanne Shawn Taylor (The blackest day, fantastica cavalcata rock blues). La cosa migliore del film, senza dubbio.
La regista canadese, alla quale si devono pure le particolari coreografie che vedono in un paio di occasioni impegnata (la discreta) Ellen Page in bizzarri passi, ci tiene a descrivere un universo, normalmente scansato, di giovani (e non) abbandonati dalla società e dalla famiglia, in cui non si riconoscono e che non comprendono; dei reietti facili prede di losche associazioni capitanate da soggetti carismatici e furfanti la cui immagine cristica riflette i propri deliri di onnipotenza; sostanzialmente sette che sfruttano le loro fragilità e attitudini all’autodistruzione. Nel fare ciò Allison Murray si avvale di inquadrature sghembe, storte, dal basso o in primissimi piani, ora concitate ora immobili, come ad aumentare il senso di straniamento e confusione, e a far percepire una direzione volutamente sgranata e sciancata, alterata, dissolta come nel bel finale, col bianco dell’incertezza che inghiotte una corsa disperata ma libera(toria).
Niente che non si sia già visto altre volte, specie nelle produzioni indie, ma l’impegno va sottolineato e apprezzato. Cosa non propriamente riuscita è la sceneggiatura, piena di vuoti narrativi, probabilmente anche per scelta, e di situazioni caotiche e non ben comprensibili; i personaggi sono sviluppati, al di là delle intenzioni, convenzionalmente e sbrigativamente.
Sarebbe stato opportuno un aiuto in sede di scrittura, per quello che si può valutare, comunque, un film appena sufficiente.

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