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Una vita nel mistero

Regia di Stefano Simone vedi scheda film

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La recensione su Una vita nel mistero

di OGM
8 stelle

Il cinema fatto in casa è carico di un’atmosfera calda e familiare. Il mondo filmato attraverso l’uscio, o magari spiato da un obiettivo appostato dietro il tavolo, accanto al divano, è impastato di quella vita vera che si dice in due parole e si tocca con mano. Le regole della prudenza, del rispetto per l’intimità, vogliono allora che le immagini si facciano semplici e i dialoghi essenziali,  giusto per non infrangere il fragile velo dei pensieri quotidiani. La forza di quest’opera, il primo lungometraggio del ventiquattrenne Stefano Simone, risiede proprio nell’indeterminatezza del sottotesto silenzioso, che si stende tra i gesti comuni e le frasi consuete, dando alle situazioni la soave profondità dell’incertezza. La regia si affida ad una cautela che sembra ingenuità, ad una delicatezza che ha il sapore pungente di un frutto acerbo, e che introduce un drammatico discorso sulla vecchiaia, sulla malattia, sulla morte, da una prospettiva lontana, eppure sorprendentemente  partecipe. Il protagonista della storia è Angelo Sormani, un pensionato di Manfredonia appassionato di fotografia, che ama i fiori, e vede spesso, intorno a sé, forme che ricordano il volto di Padre Pio. L’uomo rivolge alla bellezza della natura la stessa intensa fede con cui crede ai miracoli, a quei piccoli, curiosi fenomeni che considera segni tangibili della presenza divina.  La sua figura incarna la modestia che guarda con stupore e deferenza alla grandezza, e che riesce a racchiudere in sé un sentimento di proporzioni infinite, come l’adorazione che prova per la moglie Antonietta. La donna è gravemente malata, la prognosi è infausta, ma il marito gliela nasconde, e, pur nella disperazione,  continua a sentirsi assistito dal Cielo. Sembra un racconto stampato sul retro di un santino, o inserito in appendice ad un periodico liturgico; invece è solo la trasfigurazione, umile ed appassionata, della storia di un personaggio reale. L’autore lo ritrae in un contesto che unisce, nel modo più elementare possibile, la bontà e il dolore, la pazienza e la speranza, sforzandosi di aderire alla visione spietatamente lucida, e spogliata di illusioni, di chi vive la sofferenza con piena consapevolezza. Stefano Simone è il giovane che non pretende di immedesimarsi nell’anziano, però si impegna a riprodurre fedelmente il modo in cui i vecchi si esprimono, cercando di interpretare la maniera in cui essi vedono se stessi ed il proprio rapporto con la vita. Il mistero si traduce così in una devozione che ha la leggerezza della fantasia e la sobrietà della saggezza, e si posa su una storia eterea, ancora priva di una forma definita, come una goccia di amaro in un lago di infantile dolcezza.  

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