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Chef

Regia di Daniel Cohen vedi scheda film

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La recensione su Chef

di lorenzodg
6 stelle

Chef” (Comme un chef, 2012) è il terzo film (dopo “Une vie de prince” 1999 e “Les deux mondes” 2007)  del regista (attore e sceneggiatore) francese Daniel Cohen.
   Si deve partire subito da una considerazione di ordine (piuttosto) generale sulla commedia (in senso lato) e sul tipo di intrattenimento che vuole porre allo spettatore: in tale approccio il racconto può avere un valore funzionale a chi recita e in altri casi è il regista che antepone la scrittura al tutto e sopra gli attori. Volendo classificare il film divertente con questo tipo di approccio, va da sé che “Chef” appare un ‘piatto ben servito’ che rientra nella prima valutazione. E’ ovvio che qualsiasi cosa si voglia (e possa) dire appare quasi superfluo pensando a un gustoso (e ironico) cibo commestibile per passare novanta minuti senza pensieri e poca propensione alla indagine sociologica e culinaria (e non per ultimo averci venduto un certo prodotto confezionato con decenza e non incline ad un linguaggio ammiccante).
   “Chef” (data una premessa di idee futili riordinate) è da prendere con un respiro corto, non vuole sembrare (infatti non è altro da ciò che appare) quello che non è: una pellicola dignitosa di svago senza facezie complicate e senza scopi reconditi di alto (e basso) profilo. Tutto in una scrittura diluita, semplice, leggera, d’afflato e ridanciana al punto giusto: una miscela gradevole e aromatica per sorridere con delicatezza e distrarsi con intelligenza nascosta. Il cinema francese, a suo modo, cerca di offrire al pubblico prodotti diversificati con argomenti disparati: una media produzione, non certo sfavillante, che con onestà propina pellicole di fruizione immediata senza ricami ed orpelli inutili. L’aver coinvolto il duo Jean Renò-Michael Youn, l’uno attore affermato e senza nessuna conferma e l’altro attore televisivo conosciuto e da confermare, è un buon pretesto per una pellicola di genere-ristorazione appetibile a tutti per un incasso (sicuro) nel Paese amico e di discreto livello negli altri paesi europei. Certo che il livello recitativo è mediamente non su di giri e Renò di permette il lusso di non strafare (tutt’altro) mentre il comprimario non crede ai suoi occhi e con baldanza (da sketch televisivo) si adopera a duettare con il suo superiore per convincers(c)i di girare un film sulla cucina (francese e oltre).
   Nella certezza di non fare male a nessuno e di non esagerare il film scivola via come un salmone profumato di spezie o, se si vuole, come un bicchiere di vino rosso dell’annata ’61. Tutto per non far troppo scompisciare dal ridere il pubblico seduto al tavolo e non sgangherarsi le mandibole che gli sono care per assaggiare il menu del famoso ristorante (a tre stelle per il momento) di Lagarde. Un sciorinare recitativo allegro, vispo e senza tentennamenti alla indagine che invoglia chi guarda a lasciarsi andare e passare un tempo giusto rinfrescante (anche dalla sala) e salutare (anche perché fuori di casa nostra). Una gradevolezza carina e sorniona che ripaga il tempo con un divertimento diretto ed efficace. La prima parte (quasi un’ora) regge bene e la scrittura regge abbastanza poi le storie rovesciate, gli incontri, gli amori e la felicità ripresa alla base della Torre Eiffel (con riprese tv) mostra una corda tirata che non raggiunge l’effetto desiderato e la commozione (assente) vorrebbe fare da pari (e parapiglia) ai piatti svariati del  nuovo chef (oramai famoso) che dalla tv proviene e in tv ritorna (e qui lo schema di miriadi di programmi di cucina che invadono in ogni dove qualsiasi canale dà la brutta sensazione di qualcosa di ammuffito e stomachevole –e sì che il cinema invita, in tutti i sensi, a guardarsi un bel menu per poi mangiarsi il grande schermo, certe volte non in senso metaforico, arrabbiati e incazzati della distribuzione del BelPaese .-questa volta solo il nostro ma si è capito perfettamente).

   Alexandre Lagarde
(Jean Reno) ha la magnificenza di un ristorante e l’onore di essere lo chef della Parigi (dei nostri sogni) ma qualcosa comincia ad andargli storto. Il giovane ed intraprendente Stanilslas Matter (Julien Boisselier)  cerca di portargli via il ‘suo giocattolo’ anche perché devono arrivare i severi giudici e il ristorante rischia di perdere una stella e il suo grande prestigio. Ma sulla strada dello chef arriva quasi per caso Jacky Bonnot (Michael Youn) che essere stato licenziato in più cucine..si trova a fare l’imbianchino in una casa di riposo e per non perdere il vizio si intromette nella cucine… Lagarde incontra l’imbianchino per caso con la passione del cibo e gli offre uno stage al suo fianco. Da lì le cose per Jacky si devono mettere bene: la sua ragazza Amandine (Salomé Stévenin) è in cinta e vorrebbe sposarsi; nel frattempo Alexandre incontra Beatrice (Raphaelle Agogué) e l’amore sconfina. Facile prevedere il finale e l’allegria in posa tv (mentre si cucina) sotto i piedi della Torre Eiffel.
   Una commedia di duetti tra un uomo in crisi ed uno effervescente, di amori con qualche bugia, di amicizia con qualche bevuta d’oltralpe e di cazzeggia menti con sorprese (relative) di integrazioni (cuochi, venditori e clienti). Di tutto e quasi di più per un divertimento tra una sorsata di acqua fresca e una sequenza ‘passe-temps’, una ‘perrier’ frizzante e una verdurina di contorno! Gli attori funzionano abbastanza bene: purtroppo la parte finale prevede incontri e scontri un po’ banali e il resoconto delle cibarie è ancora in conto. Reno accetta il ruolo in subordine…nonostante: l’importante è parlar bene de la ‘France’ e cantare la ‘marsigliese’ a squarciagola (dentro non resistono mai e poi mai…) mentre si mettono piatti e bevande in tavola per chi gradisce entrare e ‘sorbirsi’ una pausa anti-stress. Da ricordare sono i titoli di testa: belli e cuciti a ritmo menù con le musiche gradevoli e ben ritmate di Nicola Piovani (che si occupa della colonna sonora –non dimentichiamoci dei nostri valori aggiunti-). Regia ordinaria e confacente alla narrazione.
   Voto: 6+.

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