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La chiave di Sara

Regia di Gilles Paquet-Brenner vedi scheda film

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La recensione su La chiave di Sara

di jonas
8 stelle

Parigi, 1942: durante la retata degli ebrei, prima di essere catturata insieme ai genitori, Sara fa in tempo a nascondere il fratellino dentro un armadio chiuso a chiave e gli promette di tornare presto a liberarlo. Parigi, 2009: una giornalista scopre che la famiglia del marito ha abitato per decenni in quello stesso appartamento, che adesso sta per essere ristrutturato. Davvero un bel film: non si limita a ricostruire l’evento storico, come l’illustrativo Vento di primavera, ma ne analizza le conseguenze che ha avuto a distanza di tempo sulle vite dei sopravvissuti. L’azione si svolge in parallelo fra passato e presente, mantenendo sempre vivo il pathos: fino alla metà ci si chiede che fine ha fatto il bambino, poi che fine ha fatto Sara; e il meccanismo della detection si muove fra le due sponde dell’Atlantico, in un intrico di parentele e documenti ingialliti che saltano fuori da vecchi armadi. Sara rappresenta l’oscuro senso di colpa che attanaglia i superstiti, l’impossibilità di elaborare un lutto nascosto ma invadente come un cadavere putrefatto, la tentazione di rimuovere un passato scomodo e di rifiutare le proprie radici (in questo senso vedo una parentela con Ogni cosa è illuminata); e la giornalista deve affrontare suo malgrado l’atteggiamento di chi, pur non aggregandosi apertamente ai carnefici, è rimasto a guardare senza far nulla per viltà e opportunismo. In un filone ormai a forte rischio saturazione, un film che sa dire qualcosa di nuovo.

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