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Take This Waltz

Regia di Sarah Polley vedi scheda film

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La recensione su Take This Waltz

di leporello
4 stelle

Si diceva: “Poche idee, ma ben confuse”, e Sarah Polley quelle poche idee le ha così tanto centrifugate e sbattute fino a montare un film intorno alle due ore, non si capisce bene come. Strascicando forse e tirando a sfoglia sottile quello che ha trovato in frigo, a partire da un Seth Rogen (Lou, il marito) appassionato di ricette esclusivamente a base di pollo (ma che idea!), che non si capisce se sia uscito da una striscia dei Flinstone o direttamente dal costume di Shrek al quale assomiglia in maniera inquietante (scusate l’ironia populista e un po’ triviale, ma veramente attori di tale espressività e fattezza non si può usarli in film che non siano commedie ridanciane e sboccate, maleodoranti di cola e pop-corns! Anche il casting vuole la sua pena, o no?), seguito a un’icollatura da un Luke Kirby (Daniel, l’amante) inespressivo, forse suo malgrado, anche perché dubito che la Polley abbia saputo spiegargli cosa dovesse esprimere. Eh sì, perché prima di far parlare e ragionare un personaggio, il personaggio bisognerà pure crearlo, cosa che sceneggiatori e registi si sono dimenticati di fare. Come cominci la storia clandestina tra i due protagonisti, dopo due ore di film ancora non si è capito. Non si è capito come possa una relazione clandestina con il dirimpettaio (che per giunta ha il vezzo di girare per il quartiere tirandosi dietro un risciò, cosa non passa esattamente inosservata), per quanto tenuta in profilo basso per tutto il tempo, senza che l’appassionato di pollo abbia il minimo sospetto. Non si è capito che cosa c’entra mettere di mezzo (se non per allungare il brodo), Sarah Silverman, la (intrigante!) cognatina ex-futura alcolista, personaggio collaterale completamente fuori da ogni contesto (la quale, peraltro, ci regala l’unica battuta divertente di tutto il film, quando chiede al poliziotto che la sta portando in centrale ubriaca se non preferisse far guidare lei). Ma soprattutto non si capiscono certe sequenze più lunghe dello strudel più lungo del mondo, un dialogo che vorrebbe essere sensuale tra Daniel e Margot , e che invece è colmo di ridicolaggini, un’interminabile pianto greco del marito neo mollato che è un primo piano a tagli con l’emulo di Shrek che rifà le stesse facce e le stesse mosse almeno dieci volte, permettendosi pure talvolta di non parlare (quanto pellicola sprecata! Speriamo sia stato fatto in digitale…).  Grazie a Dio (teniamola per ultimo come si fa col dolce), salva il tutto la faccina fresca e il fare spontaneo di una brava Michelle Williams, che se il film non fosse stato sulle spalle sue e della sua convincente permormance, (attrice non eccelsa, ma con delle doti innate che le consentono di giocare tutti i registri possibili, dal brillante al drammatico) la visione era da mollare a metà del primo tempo. Un protagonista su tre, almeno, la Polley l’ha azzeccato, ma niente altro. Ah sì, un po’ le musiche, e qualche stacco tra una scena e l’altra dove la musica viene impiegata efficacemente. Tanto l’apprezzo come attrice, quanto poco come regista, almeno per questo giro.

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