Regia di Jean-Jacques Annaud vedi scheda film
All’inizio del 20esimo secolo, come garanzia per la pace in Arabia, il sultano sconfitto Amar affida al vincitore Nesib suo figlio Auda, destinato a riunire il popolo Arabo in lotta contro il capitalismo Usa e la sua caccia al petrolio. Annaud smarrisce presto la dimensione storica della vicenda, potenzialmente interessante, per concentrarsi sulla figura di Auda, prima bibliotecario poi guerrafondaio e politicante. Al di là delle onnipresenti incongruenze storiche – nella scelta di armi e mezzi blindati paradossali per gli anni 10 e 20 – e dell’interpretazione deludente di un Tahar Rahim che non mantiene le promesse di Il profeta, restano una narrazione sfilacciata della “macrostoria” e una soapoperistica della “microstoria”. Tra resurrezioni di morti, retorica (anche musicale) a buon mercato e ammiccamenti di un Banderas a dir poco fuori ruolo, la principessa Leyla si abbandona – manco fosse Lilli Carati – a una sveltina “molto occidentale” sui sedili posteriori dell’auto con il neomarito Auda. Le due ore e rotti, intervallate da frequenti momenti di imbarazzo, pesano come un macigno e il racconto, inizialmente piatto e verboso, nella seconda parte affastella casualmente eventi e battaglie, coltivando la speranza (vana) di ride- stare lo spettatore. I tempi del Lawrence d’Arabia di Lean – ambiziosamente preso a modello fin dalla locandina – sono lontani. Persino l’Annaud di Il nemico alle porte è un ricordo sbiadito.
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