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Tre uomini e una pecora

Regia di Stephan Elliott vedi scheda film

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La recensione su Tre uomini e una pecora

di M Valdemar
6 stelle

Lo sceneggiatore di A Few Best Men (ma guarda un po’: in italiano viene storpiato con un insulso Tre uomini e una pecora) è lo stesso di Death at a Funeral (ovverosia Funeral Party): Dean Craig.
Dopo il funerale, il matrimonio. Che, a voler essere cinici (ma neanche tanto …), cos’è il matrimonio se non la sepoltura prematura di una vita felice e spensierata?
Tra i due film ci sono affinità evidenti, tra gag che ricorrono (un gruppo di amici combinaguai che deve far fronte a situazioni assurde durante la celebrazione di un rito; la droga che fa fare cose pazzesche all’insospettabile di turno; la merda, in questo caso quella proveniente dal retto della pecora Ramsay che per sbaglio aveva ingerito degli ovuli di coca), attori (il rossiccio Kris Marshall), e, in linea generale, un andamento costantemente precipitante verso l’inesorabile dedalo di avvenimenti folli e travolgenti.
L'inglese Craig, rispetto alla precedente pellicola citata, preme ancor più l’acceleratore su quell’umorismo di grana grossa che provoca violenti e singhiozzanti spasmi d’ilarità fieramente ignorante, che è lontano dal caustico, sottile e intelligente british humour che, per definizione e storia, è semplicemente imbattibile.
E va bene, lo si accetta. Un po’ meno certe moraline di fondo (gli amici che sono la vera famiglia) o alcune trovate di sceneggiatura eccessivamente inverosimili (lo spacciatore armato che in tutta scioltezza s’introduce alla cerimonia in cui, tra gli invitati, figurano parlamentari e ministri). Lo stesso lieto fine certifica la troppa “zuccherosità” del rapporto tra i due sposi che, in definitiva, sono i personaggi meno interessanti (soprattutto lei). Qualcosa non va inoltre con la composizione di altri, che, o non sono molto riusciti rispetto alle intenzioni (il padre e la sorella della sposa) o fanno fatica ad imporsi e alla lunga suscitano solo fastidio (l’amico abbandonato dalla ragazza).
Cosa rimane? Francamente, diversi numeri comici che non si (e non ci) risparmiano nulla e che causano risate scomposte e smodate. Il più esilarante è quello che riguarda il discorso del testimone, affidato a Graham, l’amico che si presenta con baffi alla Hitler e su cui sono concentrate tutte le gag migliori: appena srotola il foglio su cui dovrebbe essere contenuto il discorso da fare (invece ci sono disegnate due tette) con la sua camicia che rivela tracce di una certa polvere bianca (che aveva appena assunto in dosi massicce) e inizia a farneticare, lasciando basiti i paludati ascoltatori, su aneddoti riguardanti la natura gay dello sposo e su sesso anale, beh, sinceramente, non ci si può trattenere (a meno di non ingurgitare “simpaticamente” i propri fluidi organici) dal sobbalzare e ridere in maniera esagerata e incontrollata. Un pezzo davvero spassoso e memorabile.
Altri momenti divertenti vedono protagonista la madre della sposa (Olivia Newton-John), perfetta padrona di casa che, causa sempre qualche sniffatina, “sbarella” alla grande. Non originalissimo, vero, però funziona proprio grazie alla sua sfavillante interprete, che dimostra coraggio e autoironia.
Le scene che riguardano la “famigerata” pecora, che viene “torturata” in ogni modo possibile e immaginabile, rimandano facilmente e immediatamente ai due episodi di Una notte da leoni, con cui condivide anche altro (la bevuta della sera prima che causa danni di cui non si ha memoria; gli amici dello sposo coinvolti in un disastro dietro l’altro; la location esotica come nel secondo) e che già di suo non aveva comunque inventato nulla.
Dunque, c’è poco spazio per l’ironia pungente in quello che è un clima prevalentemente farsesco e caciarone, ed è un peccato: fermo restando quanto sopra detto sul raggiungimento dell’obiettivo primario (cioè far ridere lo spettatore) e che funzionano diverse cose - il ritmo più che buono, la regia che, pur cercando di farsi notare, tutto sommato s’adegua, gli attori che offrono discrete prove (il più convincente risulta Kevin Bishop nell’irresistibile ruolo di Graham) - con un po’ di vera salutare cattiveria e acidità in più (specie nel finale), ed un lavoro maggiormente accurato in sede di scrittura, A Few Best Men sarebbe potuto essere più incisivo e discostarsi dagli abusati modelli di comicità attualmente in voga.

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