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Elena

Regia di Andrej Zvyagintsev vedi scheda film

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La recensione su Elena

di alan smithee
8 stelle

Avevo appreso mesi e mesi fa con interesse del "ritorno" dell'autore di quel folgorante esordio-Leone d'oro veneziano del 2003 ("Il ritorno", appunto), in seguito alla presentazione del suo secondo film al "Certain regard" di Cannes nel maggio 2011. Poi più nulla del suo film, tutt'ora inedito in Italia, e che recupero solo ora, in Francia naturalmente, in occasione di una rassegna dedicata alle figure femminili nel cinema europeo: rassegna organizzata dalla Cinematheque de Nice nel periodo immediatamente precedente la festività dell'8 marzo.
E pure con questo film il regista Zvyaginsev (l'avro' scritto bene?), che percorre sentieri, locations e strati sociali completamente diversi dalla sua opera d'esordio, si prende tutto il tempo che ritiene opportuno per rappresentarci una vicenda che per opera d'altri sarebbe divenuto un thriller della vendetta, dei dissapori familiari, delle faide senza tregua, ma che invece il regista russo semplifica e scarnifica in una riflessione, cruda e senza prese di posizione, incentrata sul vano tentativo di amalgamare le sorti e i destini di due classi sociali  diametralmente opposte. L'Elena del titolo è una donna sopra i cinquanta, casalinga semplice e di estrazione popolare, forse un po' fredda ma non certo cinica, che ha sposato in seconde nozze un ricco borghese uomo d'affari, pure lui non nuovo ad esperienze matrimoniali. Entrambi i coniugi hanno due figli grandi: quello di Elena è disoccupato con moglie e due figli (uno neonato, l'altro già "teen") e tartassa la genitrice con continue richieste di liquidi; la figlia del ricco Vladimir invece, da tempo distante dal padre per insanabili dissapori non meglio specificati, fredda ed assente per anni, torna a frequentarlo quando costui viene colto da un colpo al cuore e ricoverato d'urgenza in ospedale.
In quella occasione anche per Elena, che sino a quel momento non si può dire che nutrisse mire particolari per una eredità piombatale addosso come in un fortunato gioco d'azzardo, maturano pensieri che mirano a mettere in salvo ben più di quanto le spetterebbe legalmente per salvaguardare il futuro della sua scellerata progenie. E sarà proprio Vladimir ad indurla ingenuamente in tentazione: quando l'uomo le comunica molto onestamente e con una condivisibile ingenuità, le sue intenzioni testamentarie, come per farle cosa gradita, la donna capisce che alla morte del consorte le spetterà solo una rendita vitalizia, certo sufficiente per lei ma non certo per mantenere la disastrata famiglia del figlio nullafacente. Pertanto la donna, sfoderando un sangue freddo poco preventivabile, escogita un piano d'azione nemmeno troppo originale (ma di implacabile e preciso effetto finale e definitivo) per porre fine senza clamori alle sofferenze del ricco consorte, distruggendo le prove di una bozza di terstamento che l'uomo, nel suo letto di tentata guarigione, si apprestava a predisporre per sottoporre il giorno dopo alla visione di un notaio. Zvyagintsev abbandona paesaggi brulli, seducenti e desolati del suo ottimo esordio e sceglie la grigia città come sfondo di un dramma che si consuma pacatamente ma inesorabilmente, dove la cattiveria lascia il posto ad una istintiva difesa dei propri diritti, ad un filiale sentimento di difesa di diritti di propri cari. Parenti ingrati che Elena stessa si rende conto non meritino le fortune di cui ella si appropria col crimine e l'omicidio, azioni che la segneranno per sempre ma che essa stessa sente il dovere di porre in essere per la salvaguardia della sua stessa scellerata linea di sangue. Lo sguardo del regista si mantiene sempre discretamente lontano dalla vicenda principale, e la macchina da presa inizia da distante e molto delicatamente ad entrare nell'intimità della bella e moderna casa di Elena, cominciando da un appostamento lungo e pensieroso dal balcone, in mezzo ai rami spogli; una posizione che sarà ripresa alla fine quando "il popolo ingrato ed immeritevole" sarà già entrato in possesso della reggia favolosa del ricco martire fatto fuori per una "giusta" causa.
Anche in questo caso, come per il precedente, ci troviamo di fronte ad un film non certo facile da seguire, soprattutto per quel rifiuto categorico di scandire l'azione con trame o vicende che possano minimamente conferire al film un ritmo narrativo che ormai oggi quasi tutti pretendiamo e diamo per scontato. Al regista non interessa nulla di ciò e la più antica e classica storia di intrigo familiare con omicidio premeditato si trasforma in una più complessa e riflessiva meditazione universale sull'impossibilità di amalgamazione di strati sociali così diversi e così inevitabilmente poco integrabili tra loro; due mondi separati da una incomunicabilità che in fondo caratterizzava pure la giornata tipo della coppia di protagonisti, come scandito lentamente e alla perfezione nella prima implacabile gelida mezz'ora del film.

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