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17 ragazze

Regia di Delphine Coulin, Muriel Coulin vedi scheda film

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La recensione su 17 ragazze

di nickoftime
6 stelle

Ogni società ha i suoi tabù. Nel mondo occidentale la gravidanza di una minorenne anche solo pronunciata o mostrata sullo schermo continua ad essere motivo di preoccupazione per una morale abbarbicata nella difesa di valori con cui si illude di resistere al corso della storia. Eppure basterebbe guardarsi indietro per accorgersi come la questione sia un problema culturale, svincolato dalla possibile inadeguatezza delle interessate ma legata al rispetto della consuetudine. Quindi, come già accaduto per "Juno" (2007), il film che seppur con un velo di ipocrisia - la storia in fondo si serviva di un personaggio fuori dalle regole per confermare la bontà dello status quo - era stato capace di accendere il dibattito, la questione torna d'attualità grazie al lungometraggio di Delphine e Muriel Coulin, "17 ragazze", che riprendendo un fatto realmente accaduto, racconta la storia di un gruppo di adolescenti che decidono di rimanere incinta per rimanere vicine a Camille, l'amica che dopo aver scoperto di aspettare un bambino ha deciso di tenerlo tra lo scetticismo generale. Al disappunto degli adulti chiamati a confrontarsi con un gesto senza precedenti fa da contraltare la convinzione delle ragazze disposte a tutto pur di far venire alla luce la propria prole.

Contrariamente al film di Jason Reitman, quello delle sorelle Coulin si sbarazza immediatamente di eventuali non detti legati agli aspetti sessuali del problema, mostrando una femminilità ancora acerba, ma egualmente capace di far un sol boccone di una controparte maschile ridotta a mera funzione da una virago (Camille) ribelle e insoddisfatta, ma decisa ad affermare la propria identità. Ed è proprio attorno alle motivazioni dell'inusuale gesto che il film si sviluppa, mostrando da una parte la progressiva presa di coscienza delle ragazze, costellata da saliscendi emotivi, un po' per ragioni ormonali, un po' per la paura di affrontare le conseguenze di quella scelta, dall'altra bilanciando l'urgenza delle protagoniste con le riflessioni di coloro che gli stanno accanto, maestri, genitori e persino l'infermiera della scuola (la regista e attrice Noémie Lvosky, un'icona del cinema d'oltralpe al femminile), a cui peraltro spetta il compito di riportare la faccenda all'interno di un contesto in cui le varie posizioni sono costrette a tenere conto del dato scientifico, quello che preoccupandosi dello stato di salute delle inquiete pazienti metterà a tacere qualsiasi discussione. Sulla scia di una stagione che il cinema francese ricorderà in maniera particolare per la congiuntura che lo ha premiato sia a livello critico che di incassi, il film delle sorelle Coulin conferma le qualità di un movimento che sa affrontare l'oggetto della sua analisi in maniera diretta, senza appesantirlo con inutili circonlocuzioni. Basterebbe l'apertura del film che in rapida successione riesce a passare dall'immagine spensierata e sbarazzina delle studentesse in déshabillé, colte nell'attesa della visita medica organizzata dalla scuola, al primo piano di Camille che annuncia in modo asettico la sua condizione per poi rifugiarsi in un silenzio fatto di solitudine, mare e musica rock sparata a tutto volume attraverso le cuffiette di un mp3. Un montaggio che nell'accostamento tra una rappresentazione della giovinezza ritratta nella purezza astratta di quelle nudità e, successivamente, calata in un quotidiano che non lascia spazio ad alcuna immaginazione, riesce a definire il tono di una storia continuamente in bilico tra onnipotenza e vulnerabilità, da sempre caratteristiche dell'età giovanile. Un'ambivalenza presente anche nel contrasto tra l'infinito delle vedute marine a cui si affacciano gli sguardi delle ragazze e l'architettura circoscritta dei palazzi dove devono tornare alla fine di ogni giornata, oppure nelle sequenze che nel filmare il vagabondare della protagonista lungo il crinale di un promontorio restituiscono alla perfezione l'idea di un stabilità, psicologica e materiale, mantenuta sul filo del rasoio. E poi le capacità di una regia che riesce a dialogare con le inquietudini delle protagoniste, chiamandole a raccolta quando deve rendere la dimensione selvaggia e vitalista in cui si muovono i personaggi. Ma i wild days delle 17 ragazze devono fare i conti con la cronaca e con un impatto iniziale che si consuma con la decisione delle giovani di aderire fattivamente e senza esitazione al destino della loro amica. Da quel momento la storia si istituzionalizza ripetendosi nell'attesa del lieto evento con spiegazioni che sembrano voler prendere per mano lo spettatore attraverso ipotesi e tentativi di dissuasione piuttosto scontati: quando per esempio il film fa riunire il corpo degli insegnanti, e a rotazione li interroga sulle loro posizioni con la cinepresa a filmare i primi piani delle loro ovvietà. Oppure facendoci conoscere uno spaccato sociale fatto di famiglie separate dalla guerra (il fratello di Camille è appena tornato dall'Afghanistan dove presta servizio nell'esercito del suo paese) e segnate dal fallimento (in assenza del marito la madre della ragazza è costretta a lasciare sola la figlia per guadagnarsi lo stipendio). Particolari necessari a delineare il quadro ma francamente di routine rispetto alla forza di quello che l'aveva preceduto.

A conti fatti "17 ragazze" rimane sulla soglia di ciò che poteva essere e invece non è. A suo vantaggio i corpi e la faccia di un manipolo di nuove leve, da Louise Grinberg nella parte della protagonista, a Esther Garrel in quello dell'amica più complicata, su cui si può già contare per un futuro ancora ricco di soddisfazioni. Presentato all'ultimo TFF, il film ha vinto il premio speciale della giuria
(pubblicata su ondacinema.it)

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