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La sorgente dell'amore

Regia di Radu Mihaileanu vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La sorgente dell'amore

di laulilla
8 stelle

E’ sempre un piacere, per me, la visione di un film di Radu Mihaileanu, anche quando il regista tratta temi meno legati alle sue origini ebraico-orientali, come Train de vie o Il concerto.

 

Questo film, che  non è forse all’altezza di quelli, contiene numerosi spunti di riflessione, oltre ad alcuni pregi non secondari: splendore della fotografia; suggestivo ed evocativo senso del colore, pastoso e ricco; ottima direzione delle scene di massa; attenzione all’ aspetto folklorico - ma non folkloristico - dei canti, delle danze e dei costumi, elementi vitali e costitutivi della civiltà del villaggio in festa, cui uomini e donne concorrono col loro originale apporto.

 

Il progetto del film, ispirato a un fatto di cronaca (Turchia  2001), per il regista significava entrare in contatto con un mondo poco noto, per comprendere il quale era vissuto per qualche mese in alcuni villaggi maghrebini, ottenendo di poter girare tutta l’opera nel dialetto locale.

 

La vicenda non è nuova neppure per il mondo occidentale: lo sciopero del sesso, portato avanti dalle donne per rivendicare diritti conculcati dalla popolazione maschile, è presente nella nostra cultura, dai tempi di Aristofane alla “vulgata” di Celentano, ma  insolito è lo scenario in cui si muove il mondo delle donne stanche di vessazioni che proclamano quel tipo di sciopero.


Siamo in un imprecisato villaggio del Maghreb, tra i monti, dove da troppo tempo gli uomini vivono della gloria conquistata durante la guerra contro le potenze coloniali.

Mentre la popolazione maschile combatteva con eroismo e, come dice qualcuno che ama la retorica “con sprezzo del pericolo”, la popolazione femminile mandava avanti la vita del luogo, provvedendo, forse con minore enfatica risonanza, ma certo con uguale durezza, alla vita quotidiana delle famiglie, svolgendo compiti molto faticosi, quali trasportare i carichi del fieno destinato agli animali o attingere l’acqua alla sorgente sui monti, raggiungibile attraverso un sentiero accidentato e sdrucciolevole.

Più di una donna purtroppo era scivolata, cadendo e talvolta compromettendo la propria gravidanza per svolgere questo compito necessario.

La fine del colonialismo e della guerra non aveva posto fine a quelle fatiche, perché i maschietti locali avevano continuato a gloriarsi degli onori militari e a considerare le donne come animali da fatica, che possono essere comprati o venduti (pardon, ripudiati!) essendo proprietà personale del padrone di casa, col compito di riprodurlo e servirlo.

Che cos’hanno a che fare il Corano, l’Islam, la religione con tutto ciò? Sembra non molto, almeno a sentire Leila (Leila Bekhti), giovane e bellissima donna, venuta da fuori (e perciò vista con diffidenza nel villaggio) per sposare l’uomo amato.

Leila sapeva leggere e scrivere e se ne avvaleva  anche per leggere il Corano, che, come tutti i libri sapienziali, può prestarsi a molte letture, poiché contiene affermazioni contraddittorie che variamente si possono interpretare.

 

La lettura degli uomini del villaggio era dunque di comodo e doveva essere combattuta e contrastata.

 

Lo stesso Imam, confutato da Leila – Corano alla mano – si sarebbe detto d’accordo, conferendo alle coraggiose scioperanti una specie di tardivo riconoscimento, mentre un sonoro ceffone avrebbe messo a tacere le pretese integralistiche di un giovanotto fanatico e intransigente.

 

Il clamore dello sciopero avrebbe infine convinto il governo locale a dotare il villaggio della condotta necessaria per fare arrivare l’acqua. La contrapposizione di genere, almeno per il momento, poteva pertanto cessare: la lotta per l’acqua, in fondo, non era contro qualcuno, ma era lotta per la vita - l’acqua ne è simbolo da sempre -  di cui le donne, per amore e non per costrizione, sono fiere di essere portatrici.

 

 

 

 

 

 



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