Regia di Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne vedi scheda film
LE GAMIN AU VÉLO
Con Il ragazzo con la bicicletta, grand prix al Festival di Cannes 2011, i fratelli Dardenne non rivoluzionano di certo il loro linguaggio. Continuano a girare attorno ai loro temi prediletti con le chiavi di lettura di sempre e con un'inconfondibile cifra stilistica. ‘Nuovi’ sono i due interpreti del film, Thomas Doret e Cécile de France, ma sempre i medesimi gli attori, che qui rivestono ruoli secondari, Jérémie Regnier, Olivier Gourmet e Fabrizio Rongione.
Notiamo, però, un’evoluzione del loro cinema in senso più umanistico. C’è in Le gamin au vélo una speranza di catarsi estranea - o comunque più difficile da rinvenire - alla loro filmografia precedente.
Quest’ultima fatica ci ha richiamato il loro L’enfant, vincitore a Cannes nel 2005. Si potrebbe quasi rinvenire una continuità cronologica nelle due storie. Il bambino rifiutato e venduto di sei anni fa continua la sua agonia di figlio in un rapporto disperato con un padre che continua a non volerne sapere di lui. Jérémie Regnier che là era protagonista disadattato, qui, per quanto motore dell’azione, è personaggio defilato. Non è il suo vuoto che viene analizzato dai Dardenne, bensì la rabbia dolorosa del figlio alla ricerca di un sentimento che non ha mai ricevuto.
La domanda di Cyril «Perché hai voluto che venissi a stare da te?» è speculare alla non risposta di Samantha. Entrambe frutto di una sensazione, ancora inspiegabile per il ragazzo e terribilmente confusa per la donna, albergano quel bisogno di uscire da se stessi che è universalmente chiamato amore. Non c’è un perché all’amore. Il dato che i personaggi maschili dei racconti dei due registi belgi ne siano generalmente non più che sfiorati, potrebbe far riflettere sul perché di questa refrattarietà.
L’andamento del film sembra meccanico, schematico al limite del determinismo. Salvo accendersi di una luce diversa nella sua conclusione, che fa riconsiderare tutta la storia. Quello che rischiava di apparire un insieme di stereotipi ben congegnati, si trasforma in un modello sociale preciso, asciutto, tagliente. Si paga tutto, ma c’è la possibilità di un riscatto. Anzi, alla fine i conti si debbono pareggiare comunque per consentire alla vita di proseguire.
Segnaliamo l’ottima prova di Cécile de France, da noi già ammirata in due commedie di Cédric Klapisch L’auberge espagnole (2002) e Les poupées russes (2005), nell’angosciante e discusso horror Haute tension di Alexander Aja (2003) e nel recente Hereafter di Clint Eastwood (2011).
Enzo Vignoli
29 giugno 2011
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