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L'industriale

Regia di Giuliano Montaldo vedi scheda film

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M Valdemar

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La recensione su L'industriale

di M Valdemar
4 stelle

Quel sonoro “vaffanculo” che un (giustamente!) collerico Pierfrancesco Favino (l’”industriale” del titolo) sbatte in faccia al classico burattino (appartenente alla sottospecie di grigi e squallidi figuri dalla fisionomia anonima e inquietantemente ritornante) al soldo delle bieche e vomitevoli lobby bancarie, faceva proprio ben sperare …
La crescente avversione della gente “comune” verso tutto il parassitario, diabolico e fagocitante sistema finanziario/capitalistico “necessita” senz’altro, con urgenza e sincera partecipazione, di essere raccontata e documentata, di avere uno sbocco anche (e soprattutto) nel dorato mondo di celluloide.
Come si diceva, l’inizio s’avviava in tal senso, e prometteva. Invece L'industriale è soltanto una sordida storia d’inganni, d’equivoci, di tradimenti, dove l’argomento “crisi” è sfiorato, e più specificamente costituisce in sostanza un mero elemento che s’incastra nella composizione e conseguente precipitata progressione verso un profondo collasso personale di un uomo che è anche un imprenditore. Avrebbe potuto essere il lattaio, l’edicolante, il barbiere, il proprietario di una ditta di autospurghi. Che sarebbe cambiato? Meno appeal, meno glamour, meno “anche i ricchi piangono”.
Oltretutto il personaggio non è affatto rappresentativo di quella che, tra le fila degli autonomi, è stata (e tuttora è) la categoria più colpita, ossia i piccoli medi imprenditori. Questo ingegner Nicola Ranieri, a capo di una fabbrica di officine meccaniche ereditata dal padre, alle prese con enormi debiti che le banche non vogliono coprire (poiché fanno qualsiasi cosa fuorché concedere prestiti e fiducia) e per cui si trova a non aver nemmeno i soldi per pagare i salari di operai e impiegati, sguazza tra centri benessere, ristoranti di lusso, macchina con autista personale, una fastosa villa come dimora. E soprattutto ha alle spalle una moglie molto ricca. Di suo ha poco da perdere, se non un orgoglio smisurato che travalica i limiti dell’assurdo: se è perfettamente comprensibile che non voglia chiedere soldi alla spocchiosa e odiosissima suocera (figura descritta in maniera quasi caricaturale - e tra l’altro non si capisce perché voglia far acquistare un terreno confinante alla sua proprietà alla figlia), lo stesso non si può dire del fatto che non permetta alla bella mogliettina Laura (Carolina Crescentini) di aiutarlo in alcun modo. Da dove sbuca fuori?
Nel frattempo, quello che doveva essere accessorio alla discesa verticale di Nicola, cioè il rapporto con Laura, diviene preponderante e inghiotte meccanicamente tutto il resto. Lei forse lo tradisce, se la intende con un garagista rumeno, Gabriel (che la “sa ascoltare, le parla”), lui s’incavola e s’ingelosisce, e allora si assiste a una noiosissima (nonché stravista) sequela di manovre da soap opera: pedinamenti, scenate varie, offerte di danaro al presunto amante.
Il telefonatissimo finale, dai risvolti melodrammatico/thrilleristici, vede il protagonista, nell’atto di autocelebrarsi per l’”impresa” d’aver salvato la fabbrica, scoprire l’amara e sconvolgente verità sul suo fallimento di uomo e di imprenditore.
L'incredibile e ridicola trovata che risolve le sorti di Nicola e della sua attività (i ristoratori giapponesi usati come potenziali compratori del pacchetto di minoranza) è l’apice di una sceneggiatura zoppicante e incerta, a tratti farsesca, che non sa che strada intraprendere e alla fine sceglie quella più comoda.
Se il film voleva narrare questi nostri tempi bui ha fallito; se voleva mettere in scena l’ennesima girandola sentimental-tragica ha annoiato.
La regia di Giuliano Montaldo si muove discretamente, ma senza particolari guizzi e difettando in potenza e lirismo, lasciando che una plumbea e decadente Torino (splendidamente fotografata) e l’interpretazione di un Favino ormai consolidatosi attore di efficacissima e poliedrica validità (sufficiente anche la prova di Carolina Crescentini), si prendano i giusti meriti e risollevino le quotazioni di una pellicola poco ficcante e convincente.
Alla fine mi torna in mente l’interrogativo di una coppia di simpatici campani che, mentre si era fuori in attesa dell’apertura delle sale (ed in compagnia di un “amichevole -3°), vedendo i titoli in programmazione, così sparava: <L'industriale?>>.
Bella domanda, non avrei saputo rispondergli, né prima né dopo la visione.
Sicuramente nulla d'imperdibile.

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