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Tutti al mare

Regia di Matteo Cerami vedi scheda film

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La recensione su Tutti al mare

di LorCio
6 stelle

Non so fino a che punto possa ritenersi riuscito Tutti al mare, esordio di Matteo Cerami, figlio di Vincenzo. Le due generazioni, nel nome del settimo re di Roma Sergio Citti (come viene omaggiato nel finale), hanno ripescato la formula del Casotto di trenta e più anni fa: ne è venuto fuori un affresco patriottico estremamente romanocentrico (“li mortacci tua” si sprecano), dalla scrittura generosa e calda. E se è vero che i Cerami (il film è ascrivibile ad entrambi, non soltanto al giovane regista) non risparmiano un tocco di cinismo che latita sempre di più nel cinema italiano, è anche vero che il bestiario rappresentato, per quanto bieco, è anche estremamente umano, e non è sbagliato parlare anche di affetto nel loro disegno. È come se i Cerami cerchino un barlume di comprensione in ogni personaggio, anche nei più sinistri, altrimenti non si spiegherebbe perché l’arcigna presentatrice televisiva Anna Bonaiuto che vende i sentimenti al pomeriggio (leggi: Maria De Filippi) riesca a salvarsi da uno smarrimento in mare con canotto, o perché Francesco Montanari continui a far l’amico del povero Libero Di Rienzo quando è l’amante della sua donna (che tra l’altro ha appena lasciato il cornuto).

 

Forse non c’era l’intenzione di metaforizzare le vicende con una “condanna” moralizzatrice, ma questo ondeggiare sempre in mezzo al guado, tra l’impossibilità di agire e la necessità di comprendere, non sempre convince. Si dirà che nella grande tradizione della commedia all’italiana i personaggi negativi pullulavano. Prendiamo ad esempio un Guido Tersilli di Alberto Sordi, un personaggio evidentemente negativo perché arrivista, cinico ed opportunista: ne Il medico della mutua, tanto per dirne una, gli autori si prendono il coraggio di far vincere i cattivi. Qui invece la differenza è che vengono salvati, quasi come se ci si adeguasse alla convinzione che tanto resta tutto così com’è. I Cerami non riescono a trovare il coraggio di far vincere qualcuno, lasciano tutto così com’è, ma senza disillusione. Il problema di Tutti al mare è che non funziona come l’affresco sociale che vorrebbe essere, ma è attendibile come raccolta di ritrattini romani. L’idea di raccontare un Paese attraverso un microcosmo di umana bestialità non è nuova, ma qui si vede (lato positivo del film) l’esperto gusto di Cerami senior nello scrivere i componenti dell’umana bestialità; e non si può certo dire che, riuscite o no, siano figure ripetitive o consumate.

 

A partire dall’umanissimo protagonista ben interpretato dall’ottimo Marco Giallini, malinconica espressione di plebea nobiltà, affiancato innanzitutto dalla burbera mamma invalida Ilaria Occhini, brava come sempre. Sfilano poi i già citati Bonaiuto, Di Rienzo e Montanari, le lesbiche Ambra Angiolini e Claudia Zanella, lo stesso Vincenzo Cerami nei panni di un tipo con smalto ai piedi ed uccello chiacchierone, un romantico Sergio Fiorentini nel personaggio migliore dell’antologia (un nonno fascista – come tanti ci sono ancora – che racconta al nipotino ricordi di guerra), il mito Ninetto Davoli che rivende il pesce confezionato come fresco (uno dei tanti – forse troppi – tormentoni del film), Ennio Fantastichini come tetro suicida tragico. Su tutti, però, regna Gigi Proietti, uno degli ultimi esempi di Roma fatta a uomo, che rifà un ruolo di vecchio smemorato, già sperimentato nell’episodio più bello dell’orribile Un’estate al mare dei Vanzina, con l’introduzione dell’elemento cleptomane: il suo incontro con Rodolfo Lagana è di commovente spasso. Una punta di poesia: il cavallo sperduto che corre selvaggio e Valerio Mastandrea, già stralunato di suo, che lo cerca.

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