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Pina

Regia di Wim Wenders vedi scheda film

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La recensione su Pina

di FilmTv Rivista
8 stelle

Ci sono voluti oltre vent’anni per arrivare a Pina 3D. Stregato nel 1985 dalla visione di Café Müller, Wim Wenders incontra Pina Bausch, diventano amici e iniziano a parlare di un film. Negli anni si fa quasi un tormentone: si scambiano idee ma Wenders dice di non saper raccontare la danza sul grande schermo. Il blocco si scioglie nel 2007, con la visione di U2 3D: il regista tedesco si convince che la stereoscopia possa trasmettere il senso dello spazio tanto centrale nel Teatro Danza della Bausch. La tecnologia è però ancora acerba e si pensa di lasciarla maturare un altro paio d’anni. Quando il progetto prende forma, due giorni prima di iniziare le prove, Pina Bausch muore. È il 3 giugno 2009 e, vinta la riluttanza, Wenders decide di andare avanti: filma Café Müller, La sagra della primavera, Vollmond e Kontakthof, e li integra intervistando diversi ballerini del Tanztheater. Le parole accompagnano ritratti che paiono fotografie animate in 3D dove non si muovono le labbra, inoltre ognuno si esibisce in un numero di ballo in esterni, girati a Wuppertal, sede della compagnia. A interviste, performance en plein air e spettacoli (tutti con pubblico in sala tranne Kontakthof) si aggiungono materiali di repertorio con Pina Bausch. Ne viene un documentario che trasuda la passione e l’affetto di un omaggio sentito, capace attraverso l’intensità e la varietà dei balli e delle ambientazioni - dalle strade della cittadina, alla monorotaia sopraelevata fino alle vicine pendici montane – di reinventarsi ogni pochi minuti e ammaliare anche lo spettatore più disinteressato. La stereoscopia è valorizzata da una continua ricerca di soluzioni di ripresa volte, come dice lo scenografo Peter Pabst del Tanztheater, a «varcare il confine tra il palcoscenico e lo spettatore». Il 3D trova dunque un’applicazione d’autore (come già nel pressoché invisibile capolavoro di Herzog Cave of Forgotten Dreams) e Wenders ne sfida i limiti nel rappresentare il movimento, scegliendo focali ampie che mimino le caratteristiche dell’occhio umano e facendo danzare anche la macchina da presa, per mantenere vivo il senso della profondità. Come se regista e coreografa dialogassero un’ultima volta in un ballo a due.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 44 del 2011

Autore: Andrea Fornasiero

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