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Mio caro dottor Gräsler

Regia di Roberto Faenza vedi scheda film

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La recensione su Mio caro dottor Gräsler

di LorCio
6 stelle

All’epoca Roberto Faenza scontava ancora un ostracismo politico provocato da quel Forza Italia! censurato per anni e rieditato solo recentemente. In un decennio riuscì a girare soltanto due film: antitetici (il primo è Copkiller, un poliziesco con Harvey Keitel, il secondo è questo) ma con un elemento in comune che contraddistinguerà tutta la sua altalenante filmografia: la fonte letteraria. Qui c’è nientemeno che Arthur Schnitzler e una sua novella con al centro, detto molto banalmente, un medico quarantenne e i suoi problemi con le donne.

 

Per certi versi, e per buona parte dell’intera durata, Faenza rischia quasi di impostare il film come una commedia, per quanto trattenuta e frenata, perché la presunta tragedia del nostro uomo ridicolo (Keith Carradine, adeguato alla parte) è quella di non saper amare e i suoi tentativi di dimostrare (ad una sua potenziale moglie, ma anche a se stesso) di esserne capace sono affettuosamente buffi, a prescindere dai risultati. C’è poi il personaggio disegnato da un Max von Sydow che più gigionesco non si può, espansivo e spensierato, che alleggerisce la vicenda non poco.

 

Ad un certo punto il film vira verso il genere melodrammatico al calor bianco, giungendo infine ad un’apoteosi che più che drammatica è grottesca: fallisce su ogni versante (l’incompresa sorella si suicida nel prologo; la potenziale moglie Kristin Scott Thomas resterà innamorata ma neanche ci pensa a legarsi a lui; la donna di cui s’invaghisce crepa per scarlattina non curata) e finisce per sposarsi con una donna giuliva e senza qualità. Con un’invenzione paragonabile alla Silvana Mangano nell’Ulisse di Camerini, Faenza fa interpretare la sorella e la moglie del protagonista dalla stessa attrice (una manierata e pigra Miranda Richardson) ma le sorprese finiscono qua.

 

Il film, infatti, è prevedibilmente interessante, impeccabile (lodi lodi lodi alla splendida fotografia di Giuseppe Rotunno, ai eleganti costumi di Milena Canonero e alla inappuntabile colonna sonora di Ennio Morricone) da un punto di vista tecnico, estremamente affascinante nella rappresentazione asburgica sia negli ambienti naturali (incantevoli) che in quelli ricostruiti (le terme, ma anche la squisita puntata alle giostre simil-Prater di Vienna), e allo stesso tempo sconclusionatamente raffinato, una specie di Morte a Venezia di serie B perché senz’animo. Bello, ma non balla: come molto Faenza degli anni successivi.

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